LE REGIE OCCULTE DIETRO LO STATO ISLAMICO
L’enfasi “catartica” con la quale fino a qualche giorno fa il Califfato di Ibrahim al-Badrī, alias Abu Bakr al- Baghdadi al-Husseini al-Qurashi, annunciava le sue conquiste, le sue vendette e le sue pulizie etniche, sembra aver esaurito la verve raccapricciante con cui ha finora operato. Molti commentatori attribuiscono questo affievolimento all’ormai irreversibile situazione sanitaria del Califfo che il 18 marzo 2015 a Baaji, nella provincia di Ninive, in Iraq, sembrava fosse rimasto paralizzato a seguito di un attacco con drone della coalizione internazionale ed alla neutralizzazione del suo successore, Abdul Rahman Mustafa al-Qardashi, meglio noto come Abu Ala Al Afri.
Questi, insediatosi il 13 maggio$, sarebbe rimasto ucciso in un attacco da parte dell’esercito irakeno mentre partecipava ad una riunione di jihadisti nella moschea di Tal Afar, a circa 50 km da Mosul.
L’operazione sarebbe stata conclusa grazie ad una “soffiata”, ovvero ad attività HUMINT (notizie fornite da fonti umane). Al Afri era ritenuto molto intelligente, grande oratore e grande organizzatore, molto vicino ad Ayman al Zawahiri, tanto che si stimava intendesse riconciliare il Califfato con al-Qaeda. Questi due eventi, riportati ampiamente dai media, anche senza il conforto di affidabili conferme, sono stati poi ridimensionati dal proclama diffuso il 15 maggio su al-Furqan Media (piattaforma propagandistica del Califfato) da al-Baghdadi, nel quale afferma, fra l’altro, che “l’islam e una religione di guerra”, invitando i seguaci a mobilitarsi e combattere contro i “nemici di Allah”.
A ridimensionare l’enfasi sul declino del Califfato ha contribuito poi la conquista di Ramadi del 18 maggio scorso ad opera delle milizie del
Califfato (con messaggio diffuso in rete in cui il Califfo ha proclamato che presto l’IS dopo Ramadi, libererà Baghdad e Karbala, la citta santa sciita) e l’occupazione anche della citta siriana di Palmira il 21 dello stesso mese con l’eccidio di militari siriani che la difendevano, molti dei quali sono stati decapitati.
A tutto ciò occorre aggiungere la mobilitazione di gruppi jihadisti operanti in altre aree per l’affiliazione in franchising al Califfato (anche se apparentemente le adesioni sono rallentate): singole cellule terroristiche in Indonesia, Malesia, Maldive, Cecenia e Xinjiang; Abu Sayaf Harakat Al Islamiyah nelle Filippine; Al Qaeda nel Magreb islamico; al-Murabitoon, algerino, di Mokhtar Belmokhtar, Boko Haram in Nigeria; Shabaab in Somalia; Ansar Beit al Maqdis in Egitto; Al Qaeda nella Penisola Arabica; Ansar Beit al Maqdis nel Sinai; califfato di Derna e Fezzan in Libia; Islamic State del Khorasan.
L’investitura per l’affiliazione avviene con un cerimoniale altamente strutturato, propagandato e ostentato. Infatti l’area tenuta sotto controllo dal gruppo che intende affiliarsi, per diventare una provincia (wilaya) del Califfato, ha necessita di soddisfare i seguenti requisiti:
– cambiare nome ed assumere eventualmente quello utilizzato durante le precorse dominazioni arabo-islamiche;
– accogliere un emissario del Califfo proveniente dalla Siria o dall’Iraq, insieme al quale viene nominato un “consiglio della shura” come struttura governativa;
– costituire le “corti islamiche”, tribunali per la rigida applicazione della sharia;
– aprire uffici amministrativi e fissare le regole per la vita sociale, gli orari delle preghiere, l’attività produttiva, ecc.;
– costituire un centro di propaganda televisiva.
L’allargamento delle simpatie per il Califfato non si limita alle affiliazioni ma si concreta an che in alleanze nell’area afghana e pakistana ove nei primi di gennaio del corrente anno ha debuttato lo Stato Islamico del Khorasan: l’originaria regione del Khorasan era costituita principalmente dalle citta di Balkh ed Herat oggi in Afghanistan, Mashhad e Sabzevar – oggi nel nord-est dell’Iran, Merv e Nisa oggi nel sud del Turkmenistan Samarcanda e Bukhara ora in Uzbekistan.
Tuttavia, altre interpretazioni strumentali la identificano in una vasta e mal definita regione che si estende fino all’intera valle dell’Indo o Sind) con il formale giuramento di fedeltà nei confronti del Califfo che lo ha riconosciuto come ≪wilaya≫. La sua estensione territoriale comprende l’area nord-orientale dell’Iran, denominata appunto Khorasan, costituita dalle province iraniane di Sabzewar e di Mashad, la regione meridionale del Turkmenistan attestata intorno a Merv e la provincia di Herat nell’area nord-occidentale afghana, con propositi estensivi sia verso l’Asia centrale, sia all’interno dell’Afghanistan e verso Pakistan ed India.
Leader di questa nuova provincia si è proclamato Hafiz Khan Saeed, un veterano signore della guerra, già elemento di al-Qaeda e leader del TTP (Tehrik Taliban Pakistan) – ala scissionista nel 2014 – gruppo oltremodo ambiguo e manipolato dalle intelligence indiana e pakistana, per il conseguimento di obiettivi contrapposti.
La nuova “meteora” terroristica ha invitato i talebani afghani a rompere ogni legame di fedeltà con il Mullah Omar e ad unirsi all’IS, proclama che rafforza l’ipotesi che la “wilaya” afghano-pakistana sia un nuovo tassello delle velleità geopolitiche pakistane che, con ambigue strategie ed il ricorso al terrorismo come guerra surrogata, accomuna vecchi e nuovi gruppi eversivi per il conseguimento dei suoi molteplici obiettivi.
Stato Islamico Khorasan nasce dall’unione di combattenti dell’IS vero e proprio con fazioni di talebani e jihadisti “assortiti” al comando di una commissione composta da membri di quattro gruppi principali: Stato Islamico,, Terik -I-Taliban Pakistan (Ttp), Lashkar-I-Islam E Jamaat-Ul-Ahrar, originata nell’agosto 2014 da una scissione interna al TTP.
Scopo dichiarato: formare quella santa alleanza tra guerrieri di fede islamica sunnita mirata alla realizzazione del Califfato globale, vecchio cavallo di battaglia dell’ISI (Inter-Services Intelligence, la più importante e potente delle tre branche dei servizi di Intelligence del Pakistan. Dipendente dalle forze armate pakistane, essa e stata fondata nel 1948, alla nascita dello Stato pakistano) e dell’esercito pakistano.
Secondo l’ideologia jihadista il Califfato universale deve essere ricostituito attraverso il jihad, cominciando con la realizzazione di califfati regionali che diventeranno poi poli di attrazione per i paesi confinanti. L’idea e partita dall’ideologo di al-Qaeda, Abdullah Azzam e al-Qaeda stessa nacque proprio per realizzare questo obiettivo fra il 1988 e il 1989 per iniziativa di Osama bin Laden.
Seguendo questo disegno strategico l’IS ha realizzato un’inarrestabile avanzata caratterizzata da:
– successi militari ottenuti grazie alla razzia di moderni mezzi ed armi abbandonati dall’esercito irakeno in fuga ed all’impiego simbiotico di
tattiche di guerriglia e di efferatezze terroristiche;
– efficace impianto di strutture amministrative nelle aree conquistate, che oltre a far funzionare un mini apparato statale, dispensavano anche opere assistenziali per i meno abbienti;
– disponibilità di notevoli risorse economico-finanziarie, bottino di guerra presso banche e pozzi petroliferi irakeni, oltre a proventi di estorsioni, sequestri, traffici di droga, vendita di schiave, ecc.;
– apparato propagandistico d’avanguardia basato sull’abile sfruttamento di social network e di riviste on line da fare invidia ai più raffinati blogger occidentali. Attraverso di esso sono diffuse immagini che suscitano contemporaneamente orrore ed attrazione, ricalcando il copione dei film dell’horror o del super eroe Terminator occidentali. Secondo fonti ben informate, i video spaventosi dell’IS sono realizzati da registi ed operatori cinematografici che conoscono molto bene i meccanismi della comunicazione per il vasto pubblico e che hanno frequentato corsi intensivi di regia, tenuti nel Qatar;
– continuo reclutamento nel serbatoio delle aree di dissenso, di scontento e di disoccupazione delle metropoli, specie quelle occidentali e dei paesi arabi moderati, allettando o irretendo anche la componente femminile affinché procacci mogli ed eredi ai combattenti jihadisti del califfato, allettata con video da reality show, soap opera o fiction televisive.
Ritenere che tutto ciò sia frutto dello spontaneismo ribelle di persone in stato di grave indigenza che combattono per la loro sopravvivenza sarebbe sciocco: nell’Intelligence nulla e come appare.
Basti pensare che il Califfato e stato proclamato il 29 giugno 2014 appena un mese e 10 giorni prima che la stampa rendesse ufficialmente di dominio pubblico che l’accordo raggiunto a Ginevra (novembre 2013) sul nucleare iraniano, valido fino a luglio 2014, sarebbe stato prolungato fino al successivo 24 novembre. Evento che era stato già ad abundantiam e ufficiosamente anticipato dai media nel maggio 2014.
Le concatenazioni temporali inducono a ritenere che l’ambizioso disegno califfale dell’IS sia stato tracciato da regie occulte che hanno posto in primo piano, per evitare di essere smascherate, un’asserita stretta collaborazione fra ex leader politici e militari del deposto regime irakeno – fra cui membri dell’apparato intelligence di Saddam – e leader dell’originario network di al- Qaeda in Iraq.
Il loro proposito e quello di annientare la presenza dei mussulmani sciiti nell’area medio-orientale. Per questo l’IS, anche se non dispone di contiguità territoriale, impiega i suoi proclami propagandistici e la costituzione di nuove “vilaya” per realizzare uno stretto legame di sottomissione con i nuovi affiliati, imponendo loro il giuramento, la cosiddetta bay’a, che recita: “Nel nome di Dio clemente e misericordioso, giuriamo la nostra fedelta all’Emiro dei Credenti e Califfo dei Mussulmani, Ibrahim Ibn Awad al Quraishy al Baghdadi…”.
Il giuramento non impone un diktat ma richiede un impegno alla jihad anche con metodi feroci, al fine di riconquistare le terre occupate dagli infedeli o governate da mussulmani eretici, per la costituzione del califfato globale.
L’eterogenea composizione della leadership del Califfato, secondo molti commentatori, rappresenta la più indicativa condizione di vulnerabilità di questo strategico disegno a causa delle diverse convinzioni culturali. Infatti, gli ex di Saddam sono vincolati all’ideologia del partito Baath prevalentemente ancorata alla diffusioni di principi social-comunisti fra le masse dei diseredati che esigono l’applicazione di correlate norme economico-sociali, già ripudiate e naufragate nelle impervie valli e sulle gelide rocce dell’Hindu Kush afghano.
Di contro gli eredi di Zarkawi – imbevuti del salafismo più retrivo cui si associa l’abile sfruttamento della modernità mediatica per diffondere ovunque terrore e paura – già impongono alle popolazioni sottomesse la rigida applicazione della sharia.
Gli analisti ritengono che quest’alleanza sia solo tattica e che a livello strategico, alla fine, le due concezioni ideologiche si scontreranno per prevalere l’una sull’altra.
E troppo presto per fare affermazioni categoriche ma una serie associata di eventi sembra aver creato problemi alle regie occulte, supporter della spinta propulsiva che ha finora sostenuto i successi dello Stato Islamico. Il primo e non trascurabile evento e costituito dal discorso fatto a gennaio 2015 (ricorrenza quest’anno del giorno di nascita di Maometto), dal presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi davanti al clero islamico dell’università al Azhar del Cairo, centro culturale più importante del mondo sunnita.
Rivolgendosi esplicitamente “ai chierici religiosi”, li ha invitati ad impegnarsi contro le cattive interpretazioni dell’Islam rimuovendo incrostazioni di “un pensiero erroneo che conduce la comunità islamica ad inimicarsi il mondo intero. Ha poi proseguito sostenendo che: “E inconcepibile che questo pensiero venga percepito come fonte di ansia, di pericolo, di morte e di distruzione da parte del resto dell’umanità E possibile che un miliardo e seicentomila mussulmani pensino che il solo modo di assicurarsi la sopravvivenza sia quello di uccidere il resto dei sette miliardi di abitanti del mondo?…..Dovete uscire da voi stessi per osservare la realtà e riflettere su di essa da una prospettiva maggiormente illuminata….Il mondo intero sta aspettando la vostra mossa, perché la Comunita islamica viene lacerata, viene distrutta e va perduta per opera delle vostre stesse mani”.
In pratica al-Sisi, ha invitato mullah, imam, ulema e guide religiose ad “uscire da sé stessi≫ e favorire una ≪rivoluzione religiosa≫ per sradicare il fanatismo, rimpiazzandolo con una ≪visione più illuminata del mondo≫.
Questo appello non e caduto nel vuoto ma e stato seguito da molteplici dichiarazioni di condanna delle atrocità dell’IS anche da parte di vari esponenti politici e religiosi. Altro evento degno di considerazione e la rivolta degli sciiti Houthi nello Yemen che nel decorso mese di aprile hanno espugnato il palazzo presidenziale di Aden, strategica citta portuale dello Yemen e seconda citta importante del Paese.
La dimostrazione di forza degli sciiti, da anni emarginati ed esclusi dalla leadership sunnita di Sana’a ed oggetto di attacchi ed attentati terroristici inizialmente da parte di al-Qaeda in Yemen e successivamente da parte di terroristi dell’IS, ha costretto l’Arabia Saudita ad intervenire militarmente in sostegno del governo sunnita yemenita, per arginare il dilagare della rivolta nel Paese con il sostegno intelligence degli USA.
L’Iran, che appoggia le pretese rivoluzionarie degli sciiti yemeniti, ha messo in stato di allerta le sue navi nel Golfo Persico, provvedimento che ha provocato un innalzamento dello stato di tensione conflittuale in quell’area regionale.
Come se ciò non bastasse, sono apparse sui media accuse degli USA contro Teheran di sostegno al terrorismo, alle quali ci sono state immediate reazioni iraniane che hanno esplicitamente accusato gli Americani di aver dato vita all’IS con il loro sostegno agli estremisti sunniti.
Per cercare di destreggiarsi in questa precarietà di equilibri regionali gli Stati Uniti avrebbero ridimensionato le velleità del loro alleato saudita alla ricerca di un consolidamento della sua leadership sul mondo mussulmano, inducendolo a sospendere le operazioni militari nello Yemen ed a procedere ad una pacificazione mediante opere di ricostruzione e di assistenza. Inoltre avrebbero lanciato rapidi e mirati attacchi con droni che in un brevissimo lasso temporale hanno raggiunto obiettivi strategici della leadership del Califfato (al-Baghdadi,
al-Afri e per ultimo Abu Samra, considerato il “regista” dei raccapriccianti video diffusi in rete dall’IS) nell’intento di dare credibilità alla coalizione internazionale che si e assunta l’onere di contrastare l’espansione dello Stato Islamico.
A fronte di queste iniziative vari commentatori e politici si arrovellano per strade diverse cercando di trovare strategie difensive per contrastare la
cruenta avanzata dell’IS e molti indicano soprattutto la risposta di tipo militare, con l’impiego non solo dell’arma aerea ma anche di truppe terrestri e della Humint, per cogliere gli obiettivi in maniera puntuale.
Altri indicano, in maniera generica, che bisogna rispondere con le armi e con la forza della nostra consapevolezza democratica, reagendo in maniera netta, dura, con l’impego dell’Intelligence e dei Servizi di sicurezza, per individuare i fomentatori della violenza e con il rafforzamento dell’Unione Europea invitandola ad assumere un ruolo più importante negli equilibri mondiali.
Ma la risposta non appare sufficiente: occorre coniugare la risposta militare con le armi della democrazia che sono il rispetto delle regole, l’onesta, la solidarietà, e l’assistenza verso i più deboli ed i meno abbienti, praticando l’etica dei doveri per sconfiggere la deriva individualista, come sostiene Papa Francesco.
Solo mediante il cosiddetto “comprehensive approach”, è possibile riconquistare quel consenso della popolazione che ora l’IS ha imposto con i suoi proclami. La democrazia non e un’ideologia che può essere esportata o imposta, bensì quell’insieme di regole, (diritti e doveri), valide per tutti, che bisogna impiegare per la costituzione di un governo e per la determinazione di decisioni politiche vincolanti per l’intera comunità.
Ogni popolo deve ricercare ed adottare nell’ambito dei propri processi tradizionali, culturali ed etnici la via per conseguirla. L’ideologia, invece, trova la sua giusta collocazione nei partiti politici, che sono gli strumenti attraverso i quali realizzare la democrazia. Pericle ebbe a connotare la democrazia come il miglior governo possibile, qualificandola quale mediatrice fra gli interessi pubblici e quelli privati.
Per lo statista ateniese, lo Stato democratico si incarica di comporre – in un equilibrio dinamico, ancorché carico di tensione – il mondo discorde e contrastante del privato e dell’economia con quello dell’armonia e della concordia corrispondente al dominio della “cosa pubblica” e della collettività per raggiungere un accordo valido ed efficace volto a costruire una società armonica. Le armi della democrazia sono quindi:
– le regole con cui si circoscrive la liberta illimitata dei singoli ponendovi un limite, individuato in un principio giuridico che sanziona le conseguenze dannose delle azioni che possono investire la liberta di altri soggetti, perché un regime democratico si caratterizza per il diritto di poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri, vale a dire che bisogna rispettare il principio del “neminem laedere” (non danneggiare alcuno);
– – i doveri, che sono i vari comportamenti che ogni persona e obbligata a sopportare o ad evitare, per non ledere la liberta delle altre persone, oltre ai diritti che sono rappresentati da quelle liberta che competono ad ogni singola persona. Sono i doveri che costituiscono l’essenza delle democrazia e della modernità politica. Mediante il rispetto dei doveri la democrazia rende compatibili dottrine ideologiche e politiche antitetiche, ancorché ispirate da convinzioni religiose e definisce, inoltre, “procedure universali” accolte come parametri dell’attività istituzionale, per consentire lo svolgimento – libero e pacifico – della competizione politica.
Ma il venerdì nero del 26 giugno 2016, costellato di 4 attentati contestuali in località diverse (Lione-Francia: sito industriale di materiale infiammabile con decapitazione del gestore e incendio di opifici; Sousse-Tunisia: sparatoria in spiaggia ed in alberghi con oltre 30 turisti europei morti; Leego-Somalia: uccisione di 30 soldati africani dei caschi verdi; Kuwait-City: attentato contro una moschea sciita con oltre 20 morti) ha segnato un ulteriore rafforzamento in direzione della distruzione della democrazia a favore della costituzione del califfato globale. Le regie occulte che sostengono questo disegno strategico stanno manovrando contestualmente le due anime del terrorismo jihadista: l’una guidata da al-Zawahiri che incita a compiere attentati nei territori occidentali, l’altra che sostiene la guerra ad oltranza contro gli sciiti, fino alla loro eliminazione.
Per contrastare questo disegno strategico, non basta lo scambio informativo senza riserve auspicato dai vari governi europei in seguito agli ultimi attentati perché resterà uno sterile esercizio in quanto manca una politica estera unitaria che sappia utilizzare le informazioni per tracciare linee di Intelligence strategica a garanzia della sicurezza della EU. Inoltre, occorre individuare, svelare e neutralizzare le regie occulte e rispondere, se necessario, non solo con le armi ma anche con la forza della nostra consapevolezza democratica ma con intelligenza, colpendo -per arginare la predicazione dell’odio- i focolai di incitamento alla violenza che molto spesso si ammantano con l’intoccabile copertura di associazioni caritatevoli.
Ma l’’Europa resta ancora a guardare, lacerata da controversie interne sulla crisi ucraina, sull’immigrazione dal Maghreb, ecc. e Fabrizio Saccomanni avverte che l’EU:”…non potrà assumere un ruolo più importante negli equilibri mondiali, finche non saprà tracciare un confine al suo processo di allargamento verso est, che non può restare open-ended”.
Purtroppo lo spettro del default greco dell’ultima ora, che paventa il tracollo dell’Euro e con esso l’infrangersi del sogno dell’Europa Unita, rende ancor più attuale l’aforisma di Charles de Gaulle secondo il quale “gli Stati non hanno amici, ma solo interessi”.
Foto: AP, AFP, Stato Islamico, Reuters
Luciano Piacentini, Claudio MasciVedi tutti gli articoli
Luciano Piacentini: Incursore, già comandante del 9. Battaglione d'Assalto "Col Moschin" e Capo di Stato Maggiore della Brigata "Folgore", ha operato negli Organismi di Informazione e Sicurezza con incarichi in diverse aree del continente asiatico. --- Claudio Masci: Ufficiale dei Carabinieri già comandante di una compagnia territoriale impegnata prevalentemente nel contrasto al crimine organizzato, è transitato negli organismi di informazione e sicurezza nazionali dove ha concluso la sua carriera militare.