I MARO’ RESTANO IN ITALIA

Un gesto di fermezza dopo un anno di toni fin troppo morbidi di fronte agli abusi di un Paese del Terzo mondo o la “solita italianata”, una beffa ottenuta con l’inganno e tradendo la parola data. Comunque la vediate la vicenda dei “marò” sembra chiudersi con l’improvviso e inaspettato cambio di marcia del governo Monti che lunedì ha annunciato che Massimiliano Latorre e Salvatore Girone non torneranno in India al termine della “licenza elettorale” di un mese concessa il 22 febbraio dalla Corte Suprema indiana. Il Ministero degli Esteri in una lunga nota ha spiegato che su istruzioni del ministro Giulio Terzi, l’ambasciatore Daniele Mancini ha consegnato alle autorità indiane una nota verbale con la quale ha reso nota la decisione di non far rientrare in India i due fucilieri di Marina. ”L’Italia – si legge nella nota – ha sempre ritenuto che la condotta delle autorità indiane violasse gli obblighi di diritto internazionale gravanti sull’India in virtù del diritto consuetudinario e pattizio, in particolare il principio dell’immunità dalla giurisdizione degli organi dello Stato straniero e le regole della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (Unclos)del 1982. All’indomani della sentenza del 18 gennaio 2013 della Corte Suprema indiana – prosegue la nota – l’Italia ha proposto formalmente al governo di Nuova Delhi l’avvio di un dialogo bilaterale per la ricerca di una soluzione diplomatica del caso, come suggerito dalla stessa Corte, là dove richiamava l’ipotesi di una cooperazione tra Stati nella lotta alla pirateria, secondo quanto prevede la citata Unclos. Alla luce della mancata risposta dell’India alla richiesta italiana di attivare tali forme di cooperazione, il governo italiano ritiene che sussista una controversia con l’India” per la quale Roma si dice comunque disponibile a “giungere a un accordo anche attraverso un arbitrato internazionale o una risoluzione giudiziaria”. Terzi ha poi scritto in un tweet che “intanto i nostri marò restano in Italia” aggiungendo che la giurisdizione del caso “è italiana”.
Il governo Monti ha “mostrato gli attributi” con l’India quando è ormai dimissionario e lo fa anche con toni spavaldi come dimostra l’intervento del ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, che ha fatto sapere che Latorre e Girone torneranno al lavoro al reggimento San Marco e la notizia potrebbe indicare che non è prevista un’azione giudiziaria italiana nei loro confronti. Del resto le prove raccolte dalle autorità del Kerala circa la responsabilità dei militari nella morte dei due pescatori indiani sono a dir poco raffazzonate e la magistratura indiana non si è neppure degnata di rispondere alla richiesta della Procura di Roma di conoscere gli atti processuali i referti delle autopsie e delle prove balistiche effettuate sulle armi dei fucilieri. Cosa ha indotto Roma a prendere una decisione di rottura con l’India? Da un lato le condizioni giudiziarie di Latorre e Girone non sono cambiate rispetto alla “licenza natalizia” dalla quale i due militari rientrarono a Kochi a inizio gennaio poiché il fermo e la pretesa di processare soldati italiani in servizio ha sempre costituito una violazione del diritto internazionale. Dall’altro il 9 marzo il ministero degli Esteri indiano aveva annunciato l’inizio delle pratiche per istituire il tribunale speciale (ennesima aberrazione giuridica indiana) che dovrà giudicare la competenza giurisdizionale del caso. Il nuovo approccio del governo italiano potrebbe essere quindi motivato dalla convinzione che Nuova Delhi volesse far pesare ancora lungo la vicenda nei rapporti con l’Italia, resi tesi anche dall’inchiesta per corruzione sulla fornitura di 12 elicotteri Agusta Westland  ed è plausibile anche che l’esecutivo Monti abbia preso questa decisione, forse l’ultima prima di chiudere la sua parabola politica, assumendosi una responsabilità che non ricadrà direttamente sul nuovo governo riducendo almeno in parte l’impatto sulle future relazioni bilaterali. Per ora l’India ha reagito con proteste diplomatiche formali e la promessa di “conseguenze e una fonte diplomatica indiana all’Onu si è limitata a ribadire ieri che ”i due marò devono essere processati in India secondo le leggi indiane”. Atteggiamenti vittimistici da parte degli indiani per il “tradimento” italiano della parola data risulterebbero fuori luogo considerato che la cattura dei due militari, il 15 febbraio 2012, è avvenuta con l‘inganno, quando la Guardia Costiera ha invitato la petroliera Enrica Lexie a entrare nel porto di Kochi con la scusa che “avevano catturato due barchette sospette pirata e volevano il nostro eventuale riconoscimento” come ha raccontato ai microfoni di Radio Capital il comandante in seconda della Lexie, Carlo Noviello. Per come hanno gestito le indagini costruendo prove a carico e cancellandone altre a discarico e per come hanno calpestato l’Italia e il diritto internazionale gli indiani non possono ora lamentarsi perché vengono, anche solo in parte, ripagati con la stessa moneta.

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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