Swad: la nuova unità navale teleguidata di oto melara
Per quanto non sia certo difficile capire quali siano le difficoltà proprie di ogni singolo dominio, sia esso quello terrestre, aereo o marino (quest’ultimo inteso sia sopra sia sotto la superficie del mare), appare per certi versi singolare che proprio quest’ultimo, sotto molti punti di vista, abbia finito con l’accumulare un certo ritardo in termini di un suo sfruttamento da parte dei mezzi cosiddetti «unmanned» e, più in particolare, degli Unmanned Surface Vehicle (USV).
Qualche cenno storico…
Una considerazione che sorge come spontanea se si pensa che le prime significative esperienze in questo campo risalgono addirittura a un periodo compreso tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’immediato dopoguerra; e ciò mentre i primi studi di un certo spessore risalgono addirittura agli inizi del secolo scorso.
A scanso di equivoci, si precisa che i mezzi cui si fa riferimento quando si parla di queste prime esperienze sono un qualcosa di molto limitato in termini di capacità, da impiegare nell’ambito di altrettanto limitate missioni (da qui l’impiego come bersagli o le prime esperienze nel campo della lotta alle mine oppure, quale dimostrazione di compito molto specifico, la raccolta di campioni al termine degli esperimenti nucleari nell’atollo di Bikini nel 1946).
In quel periodo, i più attivi nelle attività di ricerca sono gli Stati Uniti, anche se non mancano altri Paesi (ad esempio il Regno Unito) che affrontano il tema; sia pure in maniera molto timida.
A fattor comune, gli scarsi risultati pratici.
Lo scenario non cambia sostanzialmente neanche nei decenni successivi, nonostante gli stessi Stati Uniti continuino a “presidiare” il settore. Più che altro si affinano le conoscenze/capacità già acquisite, introducendo pochi miglioramenti e continuando a sperimentare i vari mezzi nelle poche missioni fino a quel momento a essi riservate; in questo ambito, una particolare importanza la continua a rivestire quella di lotta alle mine.
A determinare questa situazione di stallo sono, essenzialmente, 2 fattori; da un lato, le ancora limitate capacità dei sistemi di controllo remoto (con i relativi sistemi di comunicazione/scambio dati) che si uniscono all’estrema severità di un ambiente come quello marino e, dall’altro, le ridotte esigenze operative.
Il primo momento di discontinuità può allora essere individuato intorno agli anni 90 e, in questa occasione, la vera protagonista è, di fatto, l’Europa.
Giovanni MartinelliVedi tutti gli articoli
Giovanni Martinelli è nato a Milano nel 1968 ma risiede a Viareggio dove si diplomato presso l’Istituto Tecnico Nautico per poi lavorare in un cantiere navale. Collabora con Analisi Difesa dal 2002 occupandosi di temi navali in generale e delle politiche di Difesa del nostro Paese in particolare. Fino al 2009 ha collaborato con la webzine Pagine di Difesa.