La coalizione islamica combatterà l'Isis o Assad?
La notizia che l’Arabia Saudita si è posta alla testa di una Coalizione musulmana tesa a distruggere lo Stato Islamico fa sorridere quasi quanto le dichiarazioni di Barack Obama sulla “durezza” delle operazioni aeree condotte contro il Califfato.
Basti pensare che il Pentagono si è vantato di aver effettuato in 16 mesi 9.000 attacchi aerei contro il Califfato quando i soli velivoli russi ne hanno effettuate 4 mila in appena due mesi. In questa blanda guerra all’Isis limitata a “contenere” il Califfato e non certo a distruggerlo, la nuova coalizione araba è in realtà solo sunnita poiché Iran, Iraq e Siria non vi partecipano.
All’appello di Riad hanno aderito 33 Paesi incluso il Pakistan, Paese islamico che arabo non è ma che dipende pesantemente dai sauditi per il finanziamento del suo apparato militare e per le forniture energetiche ma che ha già dovuto piegarsi alle pressioni saudite inviando forze militari in Yemen.
Ad anticipare la nascita di questa coalizione, che minaccia di entrare in territorio siriano dalla Giordania, era stato nei giorni scorsi il viceministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti, Anwar Qarqash, che all’agenzia di stampa nazionale Wam aveva dichiarato che il suo Paese era pronto a una missione militare terrestre in Siria e a un intervento diretto nell’ambito di una coalizione internazionale, preferibilmente guidata da altri Stati arabi.
“Il nostro Paese è pronto a partecipare a un intervento di terra contro i terroristi – ha affermato il membro del governo di Abu Dhabi a patto che non si ripeta lo scenario già visto nel 1991 con l’intervento degli Stati Uniti in Iraq per liberare il Kuwait”.
Difficile interpretare quest’ultima affermazione. Forse il viceministro intendeva dire che a differenza della guerra del 1991, che liberò il Kuwait ma non fece cadere Saddam Hussein, questa volta la Coalizione libererà la Siria e deporrà Bashar Assad invece dello Stato Islamico?
Per Qarqash “il modello potrebbe essere l’alleanza araba guidata dall’Arabia Saudita che sta intervenendo in Yemen” contro gli scitti Houthi. L’obiettivo degli Emirati e delle monarchie del Golfo sembra quindi essere quello di prendersi la massima autonomia dagli statunitensi (di cui diffidano anche le monarchie arabe) per intervenire in forze in territorio siriano.
Inevitabilmente un’offensiva delle truppe sunnite in Siria verrebbe visto da Damasco (e dai suoi alleati iracheni, iraniani e russi) come un’invasione che non avrebbe come obiettivo la distruzione dello Stato Islamico, movimento sunnita che gode di ampi consensi presso l’opinione pubblica negli emirati del Golfo e in Arabia Saudita.
Del resto sauditi e alleati regionali sono ufficialmente membri della Coalizione anti-Isis fin dal settembre 2014 ma non si ricordano azioni belliche rilevanti da parte dei loro pur moderni cacciabombardieri.
Nell’elenco dei 34 Paesi aderenti alla Coalizione figurano Egitto, Turchia, Pakistan, Senegal, Indonesia, Giordania, Libano, Tunisia e persino la Libia mentre l’obiettivo, volutamente ambiguo, è “proteggere le Nazioni dai mali provocati da tutti i gruppi e da tutte le organizzazioni terroristiche”, a prescindere “dalla loro dottrina”, che si rendono responsabili di “uccisioni o che diffondo la corruzione nel mondo e mirano a terrorizzare gli innocenti”. Definizione che non fa riferimento allo Stato Islamico ma sembra scritta appositamente per le forze lealiste di Bashar Assad, accusate dai ribelli e dagli arabi di colpire i civili in modo indiscriminato.
Non ci vogliono fini analisti strategici per ipotizzare che il corpo di spedizione arabo che dovesse penetrare in Siria dalla Giordania non punterebbe a est verso Palmyra e Raqqa ma più facilmente a ovest in direzione di Damasco.
Al tempo stesso non si può escludere che sauditi e turchi studino un piano congiunto in cui gli arabi penetrano in Siria da sud e i turchi da nord per far cadere il regime di Assad, mettere fuori gioco la Russia per poi puntare su Baghdad e sul sud del Libano per chiudere la partita con Hezbollah. Una campagna in cui i nemici della Coalizione sarebbero le forze sciite, non certo lo Stato Islamico che peraltro ha sempre goduto degli aiuti arabi e turchi.
Ovviamente si tratta solo di uno scenario ipotetico ma non certo improbabile, che allargherebbe il conflitto tra sciti e sunniti e vedrebbe certamente l’Iran rispondere con rappresaglie militari direttamente nel Golfo mentre le reazioni russe potrebbero essere imprevedibili e devastanti.
La Coalizione araba è già attiva in Yemen dove, nonostante il massiccio impiego dei cacciabombardieri e di un corpo di spedizione congiunto saudita-emiratino-qatarino non sta conseguendo successi tangibili contro i ribelli Houthi anche a causa dell’inesperienza bellica dei suoi militari.
Del resto proprio questo impegno riduce il numero di truppe e mezzi che possono venire dispiegati in Siria mentre ai quasi 20 caduti tra i militari arabi registrati in Yemen dal marzo scorso potrebbero aggiungersi centinaia di perdite subite contro l’agguerrito ed esperto esercito di Bashar Assad.
Un intervento di truppe arabe in Siria offrirebbe quindi ben poche garanzie di combattere i terroristi dell’Isis o i qaedisti del Fronte al-Nusra (altro movimento jihadista che ha finora incassato aiuti e armi da arabi e turchi) ma di certo spalancherebbe le porte a un conflitto globale tra sciti e sunniti.
In questo contesto si inseriscono nei giorni scorsi i primi raid aerei statunitensi che hanno colpito per la prima volta postazioni delle truppe di Assad.
“Attacchi della coalizione anti-Isis guidata dagli Usa contro l’esercito siriano non casuali e che non è escluso si ripetano, ha denunciato il rappresentante permanente di Mosca all’Onu, Vitaly Churkin, in un’intervista con l’agenzia Ria Novosti.
da Nuova Busssola Quotidiana
Gli Stati membri della Coalizione Islamica contro il terrorismo: Arabia Saudita, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Pakistan, Bahrein, Bangladesh, Benin, Turchia, Ciad, Togo, Tunisia, Gibuti, Senegal, Sudan, Sierra Leone, Somalia, Gabon, Guinea, Palestina, Comore, Qatar, Costa d’Avorio, Kuwait, Libano, Libia, Maldive, Mali, Malaysia, Egitto, Marocco, Mauritania, Niger, Nigeria, Yemen.
Foto: Sputnik, Getty Images, Re4uters, AP, Ministero Difesa Russo
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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.