Siamo arrivati impreparati ai fatti di Colonia

di Anna Bono*

Colonia e l’intera Germania sono sotto shock per il capodanno da incubo in cui sono incappate decine di donne che hanno avuto la sventura di attraversare la piazza della stazione centrale di Colonia nella notte di San Silvestro. Circondate, molestate sessualmente, palpeggiate, derubate di soldi e telefonini da uomini ubriachi radunatisi nella piazza che si estende tra lo scalo ferroviario e il duomo.

Secondo quanto riferito dalla polizia, erano un migliaio, imbottiti di alcool, senza più freni e controlli. Poi la massa si è frantumata in gruppi più piccoli, che hanno circondato le donne compiendo quello che il capo della polizia di Colonia, Wolfgang Albers, ha definito “pesanti delitti sessuali di una dimensione completamente nuova”. Il bilancio della polizia, ancora provvisorio, è di 121 denunce e 16 sospettati.

Gli aggressori non sono ancora identificati ma sono riconoscibili in video. Sono stati riconosciuti e indicati da vittime e testimoni come uomini arabi e nordafricani.

I fatti di Colonia dei giorni scorsi dimostrano la serietà dell’emergenza in atto. Dimostrano anche la nostra impreparazione, che molto si deve alle ideologie antioccidentali, al relativismo intellettuale e morale che in tutta l’Europa hanno prevalso e ormai da decenni influenzano governi e istituzioni, rafforzati dalla dignità scientifica conferita loro dall’accademia.

Negli atenei italiani capita ancora che si spieghi agli studenti a proposito delle mutilazioni genitali femminili: che, per quanto spaventose ai nostri occhi, non abbiamo il diritto di giudicarle poiché si tratta di istituzioni praticate tradizionalmente da millenni nell’ambito di culture diverse dalla nostra, ma altrettanto valide; e, soprattutto nel caso dell’infibulazione, che la preoccupazione di tutelare bambine e ragazze dal rischio di subire violenza sessuale è uno dei comprensibili motivi per cui si eseguono.

Del velo islamico si racconta che Maometto lo volle non per mortificare le donne, ma per proteggerle affinché non venissero importunate per strada. Per la stessa ragione, e non per privarle della libertà, è conveniente che escano il meno possibile, preferibilmente accompagnate da un uomo di famiglia.

Si insegna anche che il significato del prezzo della sposa non deve essere frainteso. Non vuol dire che le mogli si comprano, come potrebbe apparire per il fatto che gli uomini devono pagare le famiglie delle donne che intendono sposare. Questa istituzione molto diffusa in Africa – spiegano tanti docenti – è una manifestazione di rispetto nei confronti delle donne, un riconoscimento del loro valore; e la poligamia nasce dalla preoccupazione di garantire a un maggior numero di donne la tutela di un marito e l’onorabilità dello status di moglie e madre, evitando a molte la disgrazia di restare nubili.

Invece i matrimoni precoci – in Iran ad esempio l’età minima per le donne è nove anni – derivano dalla preoccupazione di ridurre il rischio che bambine e adolescenti cadano in tentazione e siano vittime di inopportune attenzioni sessuali.

È lungo l’elenco delle istituzioni nate nelle società non occidentali che violano la persona umana nella carne e nello spirito e di cui a ogni costo si danno spiegazioni in termini se non altro di buone intenzioni: proteggere, tutelare, difendere.

I danni che provocano si imputano non di rado a una recente contaminazione da parte dell’Occidente che le avrebbe snaturate: il prezzo della sposa, ad esempio, da quando viene pagato in denaro e non più come un tempo in beni e bestiame. Oppure si presentano certi comportamenti come devianti o comunque non si dice con chiarezza che sono invece compiuti nel rispetto di una istituzione, obbedendo a una norma: è il caso dell’omicidio d’onore che molte società tribali non solo ammettono, ma prescrivono.

Quello che non si dice è che, oltre i confini dell’Occidente cristiano, genti e paesi restano in gran parte fedeli a un arcaico modello di società, patriarcale, gerontocratico e autoritario che ignora l’esistenza di diritti inerenti alla persona, quindi inalienabili e universali.

I diritti vi dipendono al contrario dallo status sociale di ciascuno che a sua volta si determina in base a fattori principalmente ascritti come il sesso. Donne e bambini nelle società arcaiche non sono soggetti, ma piuttosto beni, risorse, proprietà di cui gli uomini, i capifamiglia hanno il diritto e il dovere di disporre.

Né si attribuisce valore assoluto e supremo alla vita umana: gli uomini valgono più delle donne, gli anziani più dei giovani, i membri dei lignaggi e delle caste superiori più di quelli nati in lignaggi e caste inferiori; gli estranei al proprio lignaggio e clan valgono meno dei suoi componenti, gli estranei alla propria tribù non valgono niente e non hanno diritto a nulla.

Per capirne le conseguenze: lo stupro di una donna è un affronto non a lei, bensì all’uomo che la possiede; una donna che mostra il proprio corpo, che va in giro da sola e senza un motivo che non sia lavorare e provvedere alle incombenze famigliari, è una donna di nessuno oppure di un uomo debole, privo di autorità, di lei si può abusare.

Le società tribali ritenevano questo modello perfetto e immutabile perché realizzato dagli antenati fondatori. L’Islam, che lo ha sostanzialmente recepito, lo ha rafforzato attribuendone principi e istituzioni al volere divino: e vi ha aggiunto la superiorità dei fedeli sugli infedeli.
Tutto ciò non si ammette volentieri. Da decenni si descrivono anzi le popolazioni di Africa, Asia e America Latina come esemplari depositarie di valori umani perduti in Occidente, garanti della dignità e del rispetto dell’uomo, saldi nel resistere alla tentazione di sacrificare uomini e natura al denaro, al profitto e perciò infinitamente più capaci di donare, tollerare, accogliere… e tutto questo grazie a un prezioso lascito di tradizioni tribali.

È così che si arriva impreparati ai fatti di Colonia: imprevisti, a quanto sembra. Eppure, proprio in Germania, da mesi delle organizzazioni non governative denunciano nei centri di accoglienza per emigranti e profughi una vera e propria “epidemia” di molestie e violenze sessuali inflitte dai maschi ospitati nelle strutture alle donne, adulte e adolescenti.

da Nuova Bussola Quotidiana dell’8 gennaio 2016

Foto: DPA e Youtube

* Ricercatore in Storia e istituzioni dell’Africa presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Torino, ha insegnato Sociologia dei processi culturali nel corso di laurea in Servizio sociale, sempre a Torino, e “L’altra metà del cielo, l’altra metà del mondo, La condizione femminile nei paesi in via di sviluppo ed emergenti” nell’ambito del master Lavoro, famiglia e leadership femminile dell’Università Europea di Roma.

Dirige il dipartimento Sviluppo Umano del Cespas, Centro europeo di studi su popolazione, ambiente e sviluppo, e cura la pubblicazione del sito web del Cespas, Svipop.org. Su Africa, sviluppo, ambiente, popolazione, condizione femminile, relazioni internazionali, cooperazione internazionale ha pubblicato oltre 900 tra articoli, saggi e libri di carattere scientifico e divulgativo.

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