L’isis lo minaccia ma per Israele il nemico resta l’iran
da Gerusalemme
L’ISIS minaccia nuovamente Israele: come di consueto il leader dello Stato Islamico Abu Bakr al-Baghdadi ha registrato un video in cui minaccia lo Stato Ebraico e la sua esistenza. “La Palestina non sarà la vostra terra, né la vostra casa, ma il vostro cimitero. Allah vi ha raccolto in Palestina perché i musulmani vi uccidano” e il leader prosegue dicendo “gli israeliani credevano avessimo dimenticato la Palestina e pensavano di essere riusciti a distrarre la nostra attenzione dalla questione palestinese.
Ciò non è assolutamente vero, non abbiamo dimenticato la Palestina neanche per un momento. Presto, molto presto, avvertirete la presenza dei combattenti della Jihad”. Una minaccia aperta molto chiara ma che non fa reagire Israele.
A quanto riportano fonti israeliane ci sarebbe una presenza dello Stato Islamico nel Sinai al sud di Israele ma anche al nord del Paese nelle alture del Golan. Israele si ritrova quindi circondato ed è costantemente minacciato sia dall’esterno dai lanci di razzi da parte di Hamas e Hezbollah ma anche all’interno dai continui attacchi terroristici che stanno colpendo le maggiori città israeliane: per questo l’ISIS non è una priorità per Israele.
Secondo Efraim Inbar, direttore del Begin-Sadat Center, “l’ISIS sa che anche se dovesse in qualche modo attaccare Israele, quest’ultimo risponderebbe con molta più forza rispetto a quella ‘chirurgica’ usata dagli Stati Uniti e dagli altri membri della coalizione.”
Non è una voce isolata quella del professor Inbar, la gran parte della popolazione e della stampa israeliana sembra non sia spaventata dalle minacce esplicite da parte di al-Baghdadi. Ciò non significa che non si stiano preparando per un’eventuale penetrazione di cellule terroristiche nel territorio israeliano.
Il confine meridionale di 220 chilometri con il Sinai è stato rinforzato, sono state dispiegate truppe per proteggere soprattutto le zone agricole nel sud del Paese che potrebbero essere più vulnerabili alle infiltrazioni dell’ISIS.
Per Israele, tuttavia, la minaccia più grande resta sempre l’Iran soprattutto per l’appoggio e il supporto che sta dando a Hezbollah in Libano e Siria. Con il ritiro delle sanzioni l’Iran ha riallacciato i rapporti con gli Stati Uniti e con l’Europa e sta inoltre giocando un ruolo importante nella coalizione internazionale nella lotta contro il terrorismo dell’Isis in Siria e Iraq.
Fonti israeliane vedono il crescente interesse iraniano nel conflitto siriano e la presa di controllo di punti cruciali per sconfiggere lo Stato Islamico come “un’escalation di Teheran per poter esercitare la sua influenza nell’area ed essere più vicino allo Stato Ebraico per poterlo distruggere definitivamente”.
Di conseguenza Gerusalemme teme le milizie scite libanesi di Hezbollah, impegnate nel conflitto siriano ma che si starebbero rafforzando grazie agli aiuti iraniani e russi secondo quanto riporta il Meit Meir, Centro d’informazione di Terrorismo e Intelligence israeliano.
“Fintanto che la guerra siriana continua, Iran, Russia ed Hezbollah continueranno a cooperare senza vincoli e restrizioni.”
Il ruolo della Russia nella guerra in Siria potrebbe determinare un nuovo scenario in Medio Oriente percepito come dannoso in Israele. Oggi le relazioni tra Putin e Netanyahu sembrano essere buone e ciò è confermato anche dalle numerose visite fatte dal Premier israeliano a Mosca nei mesi passati e del sostegno del Presidente russo nel 2014 durante l’operazione israeliana Protective Edge contro Hamas.
Israele però vuole avere delle rassicurazioni e delle garanzie che Mosca non trasferisca armamenti direttamente o indirettamente (tramite l’Iran o la Siria) a Hezbollah.
Secondo il giornalista Josh Cohen, “pur non volendo prendere parte direttamente al conflitto in Siria, Israele ha posto una cosiddetta red line nei confronti della Russia.” Se da una parte Israele è a conoscenza del trasferimento di armi a Hezbollah, dall’altra sa che è necessario mantenere buone relazioni con Mosca.
Il precipitare dei rapporti tra Arabia Saudita e Iran aprono la strada a potenziali nuove cooperazioni tra Riad e Gerusalemme basate sull’interesse comune a contenere l’Iran, a rimuovere il regime di Assad e ridurre il peso di Hezbollah in Libano.
Come sostiene il professor Yaron Friedman “l’Arabia Saudita deve fare i conti con il fatto che la maggior parte dei terroristi dello Stato Islamico possiede un accento saudita, ha avuto un’educazione wahabita e quindi è proprio il mondo sunnita che ha creato queste persone.”
Del resto un’intesa tra Gerusalemme e Riad potrebbe includere, oltre al contrasto all’Isis e all’Iran, anche la riapertura dei negoziati di pace con l’Autorità Palestinese.
Foto: AP, RT e Stato Islamico
Emanuela MattiussiVedi tutti gli articoli
Laureata in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Gorizia. Per due anni è stata membro del direttivo del Club Atlantico YATA Gorizia organizzando e partecipando a numerosi eventi nazionali e internazionali. Si occupa di Medio Oriente e sicurezza lavorando in Italia e all'estero.