Limitazione delle armi: lo strabismo dell’Europa

Sebbene nessuno degli attacchi che hanno scosso sino ad ora l’Europa sia stato realizzato con armi da fuoco di provenienza lecita (gli attentatori, infatti, si riforniscono attraverso il mercato nero e il dark web oppure ricorrono agli esplosivi fatti in casa), la Commissione UE non sembra intenzionata a rinunciare alla propria politica volta a “rendere più difficile l’acquisto di armi da fuoco in EU”.

Tale posizione, apertamente criticata da addetti ai lavori, appassionati ed esperti di sicurezza, è stata ribadita pochi giorni fa da Jean-Claude Juncker che, in un intervento al Parlamento europeo, ha accusato quest’ultimo di non aver fatto niente per approvare le norme che l’Esecutivo da lui guidato aveva preparato nei giorni immediatamente seguenti agli attacchi di Parigi. Il politico lussemburghese, inoltre, ha concluso il proprio discorso richiamando all’ordine l’organo assembleare, ricordando ai presenti che, a suo dire, sono in gioco la libertà e la sicurezza dei cittadini.

Nonostante le aspettative della Commissione, comunque, il dibattito che ha seguito le parole di Juncker è stato incentrato prioritariamente sulla condivisione di informazioni fra i Servizi dei vari Paesi membri, senza che vi fossero degli approfondimenti dedicati ai problemi più urgenti, come l’incapacità dell’Unione di controllare le proprie frontiere (sia virtuali che fisiche) e, di conseguenza, il florido mercato nero che si sviluppa soprattutto online e nell’area ex-jugoslava.

Non a caso, l’unico deputato ad intervenire su quest’ultimo tema è stato il croato Ivan Jakovčić (foto a sinistra) che, provenendo da quelle zone e conoscendo quindi la pericolosità della re-islamizzazione dei Balcani, ha ricordato ai (pochi) presenti che in Bosnia ed Erzegovina e in alcune delle repubbliche limitrofe vi sono potenziali minacce alla sicurezza della UE.

Al di là di un breve cenno all’opportunità di accelerare il processo di integrazione europea di Sarajevo, comunque, il problema sollevato dall’ex governatore dell’Istria non ha avuto particolare fortuna, dimostrando ancora una volta come l’Europa sottovaluti notevolmente l’instabilità che da decenni regna lungo i suoi confini meridionali.

Andando più nel dettaglio, la nuova bozza di direttiva realizzata dal Gruppo per le questioni generali, valutazione compresa (GENVAL) ha lo scopo prioritario di individuare delle norme per far sì che un cospicuo numero di armi da fuoco attualmente appartenenti alla Categoria B (soggette ad autorizzazione) siano spostate nel gruppo A e quindi espressamente vietate.

Come detto, la ratio di questo provvedimento è da ricercare nel fatto che i legislatori di Bruxelles sono convinti che così facendo si scongiureranno ulteriori attacchi terroristici, anche se non vi è alcuna prova della validità di tale assunto. In Italia, ad esempio, il procedimento necessario all’ottenimento delle licenze per la difesa, la caccia e tiro sportivo è particolarmente lungo e costoso, nonché normato sin nei minimi particolari, il che già di per sé scoraggia molte persone ad intraprendere l’iter.

Lo stesso principio vale anche per gli acquisti, che sono controllati e registrati dalle Forze di Polizia: quest’ultime, inoltre, in ogni momento possono verificare la corretta conservazione delle armi e, soprattutto, che queste non siano stato manomesse per alterarne le prestazioni (cosa che comunque richiederebbe il ricorso a canali illeciti per procurarsi i ricambi necessari).

Oltre a ciò, il GENVAL intende bandire tutte quelle armi semiautomatiche che “possono essere molto pericolose” in quanto hanno caricatori che contengono un “numero alto di colpi”, ossia, come viene riportato nel documento rilasciato il 4 aprile, superiori a sei proiettili.

In considerazione del fatto che nell’articolo in questione manca la dicitura “long firearms” e che esso è scritto in maniera alquanto fumosa, alcuni esperti ritengono che ciò possa significare la messa al bando quasi tutti i prodotti attualmente sul mercato (secondo tale interpretazione anche le pistole della Prima Guerra Mondiale sarebbero fuorilegge).

Secondo ulteriori criteri aggiunti dalla Commissione, inoltre, dovrebbero divenire illegali carabine e fucili di lunghezza inferiore agli 830 mm e/o con canne di lunghezza inferiore ai 450mm, nonché quelli con impugnatura “a pistola” (come quella dell’M4 statunitense e di tutti i suoi derivati).

Quest’ultimo aspetto, in particolare, potrebbe avere effetti estremamente dannosi per il mercato civile europeo, in quanto a partire dagli anni ’60 il cosiddetto pistol grip si è affermato in quasi tutte le case produttrici.

Particolarmente controverso è risultato essere anche il punto della Direttiva dedicato al principio di sussidiarietà, con cui la Commissione vuole attribuirsi il diritto di intervenire affinché le novità introdotte vengano efficacemente recepite da tutti gli Stati membri. Secondo il GENVAL, infatti, gli obiettivi individuati dal nuovo testo sono particolarmente impegnativi e pertanto richiedono un intervento diretto della UE a supporto dei Governi nazionali.

Tale considerazione, però, sembra nascondere la volontà di Bruxelles di dotarsi di uno strumento legale che le permetta di assicurarsi che anche gli Esecutivi maggiormente contrari alla stretta sulle armi da fuoco si adeguino alle nuove norme.

Non è un caso, pertanto, che Polonia e Svezia, due esponenti del fronte del “no”, si siano dette contrarie all’estensione del principio di sussidiarietà anche a questo ambito, motivando le proprie ragioni in un documento ufficiale inviato alle Presidenze della Commissione, dell’Europarlamento e del Consiglio europeo.

In conclusione, anche se la proposta di Direttiva contiene degli aspetti importanti e sicuramente condivisibili, come maggiori controlli per le vendite legali online e per la concessione delle licenze di porto e di tiro, essa manca di coerenza con l’obiettivo che, almeno ufficialmente, si prefigge di raggiungere.

Se, infatti, la Commissione intende garantire la sicurezza dei cittadini, essa dovrebbe concentrarsi piuttosto sull’enorme mole di armi illegali attualmente presenti all’interno della UE (secondo le stime di Firearms United queste potrebbero superare i 100milioni di unità), sul mercato nero (sia fisico che virtuale) e sulle nuove tecnologie.

Allo stato attuale delle cose, infatti, la normativa sembra piuttosto indirizzata a disarmare gli europei, un aspetto che dovrebbe far riflettere (e molto) sulla scarsa fiducia che gli organismi politici comunitari ripongono nei loro elettori.

Seguendo tale logica è possibile avanzare l’ipotesi che l’obiettivo di Bruxelles possa essere quello di evitare che in un momento di sempre maggiori tensioni sociali causate dalla crisi economica e politica del Vecchio continente, nonché dalla crescente pressione migratoria, l’insoddisfazione dei comuni cittadini possa sfociare nell’uso della forza.

Questa considerazione, per quanto azzardata, tiene conto anche del fatto che i terroristi islamici e/o i gruppi estremistici organizzati non hanno assolutamente bisogno di poter contare su armi semiautomatiche e legalmente denunciate per compiere i propri attacchi, in quanto perfettamente in grado di procurarsi armi da guerra, realizzarne di nuove a partire dai progetti facilmente reperibili online e produrre esplosivi a partire da sostanze usate tutte i giorni, come i fertilizzanti.

Foto: AP, AFP, Reuters e EPA

Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.

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