Libia: prudenza giustificata da tensioni e incognite
da Il Sole 24 Ore del 27 aprile
Solo un anno or sono a Roma si stimava di poter inviare in Libia fino a 5 mila militari, numero “evocato” a inizio marzo dall’ambasciatore statunitense John Philips ma negli ultimi giorni le indiscrezioni hanno ridotto l’entità dell’eventuale contingente da spedire sulla nostra “quarta sponda” a meno di un migliaio. Numeri peraltro smentiti dal Ministero della Difesa che li ha definiti “privi di qualsiasi fondamento”.
Non si tratta solo di prudenza o riservatezza: anche se a livello militare sono stati messi a punto piani con ambizioni e livelli di forze variabili, al governo italiano come all’intera comunità internazionale mancano almeno un paio di riferimenti certi per poter dare il via a un intervento militare a sostegno dl governo di Fayez al-Sarraj.
Il primo è legato al reale insediamento dell’esecutivo a Tripoli, dove vi sono ancora milizie ostili ad al-Sarraj i cui uomini controllano solo alcuni palazzi governativi.
Senza il saldo controllo della capitale e dell’aeroporto non potrà insediarsi la missione Onu guidata da Martin Kobler né potrà risultare credibile l’ambizione di al-Sarraj di rappresentare l’intera Libia.
Il secondo dipende dalle richieste che il governo libico formulerà in termini di supporto militare che dovrebbe essere limitato all’addestramento delle forze locali e al supporto aereo e d’intelligence per combattere lo Stato Islamico. Il condizionale è d’obbligo sia perché nessuna fazione libica si è espressa a favore della presenza di truppe straniere sia perché la lotta ai jihadisti che controllano la regione di Sirte non sembra essere una priorità per al-Sarraj.
Specie dopo la generica richiesta di aiuto all’Onu e ai Paesi vicini africani ed europei per proteggere le installazione del petrolifere del Golfo della Sirte, il governo di al-Sarraj sembra preoccupato più dalle forze del governo laico di Tobruk guidate dal generale Khalifa Haftar che dalla necessità di contrastare l’IS le cui colonne marciano verso il terminal di Sidra.
La compagnia petrolifera libica (Noc) e le milizie a guardia di pozzi e terminal (Pfg) hanno dichiarato fedeltà ad al-Sarraj che ora teme un’offensiva delle truppe di Haftar tesa a riprendere il controllo della regione.
Del resto il parlamento di Tobruk non ha ancora espresso la fiducia che legittimerebbe il governo di al-Sarraj ma che risulta ancora più improbabile alla luce delle dispute petrolifere.
Le molteplici tensioni che permangono in Libia giustificano la prudenza con cui Roma valuta l’eventuale invio di forze militari.
L’opzione minima prevede di schierare truppe per la difesa della base che la missione dell’Onu dovrebbe installare a Tripoli dopo l’insediamento di al-Sarraj.
In tutto tra i 300 e i 500 militari per garantire la protezione della base, la logistica e la scorta ai funzionari delle Nazioni Unite inclusi Martin Kobler e il suo consigliere militare, il generale degli alpini Paolo Serra (nella foto a sinistra).
A questo contingente l’Italia potrebbe contribuire con una compagnia di fanteria e qualche componente specialistica per un totale di circa 150 militari. Questo in teoria perché ogni eventuale impegno militare italiano dovrà avere la legittimazione di un mandato dell’Onu e il via libera parlamentare.
Improbabile invece una missione di supporto e addestramento (la Libyan international assistance mission- Liam) con l’impiego di migliaia di militari (tra i quali almeno un migliaio di italiani) che non è stata al momento chiesta da al-Sarraj né condizioni per un suo varo da parte del Palazzo di Vetro.
Da escludere pare anche un intervento dell’Italia in operazioni belliche contro lo Stato Islamico anche se nelle scorse settimane le esercitazioni che hanno visto l’impiego degli elicotteri da attacco Mangusta a bordo della portaeromobili Garibaldi hanno confermato la messa a punto di uno strumento offensivo efficace senza dover dislocare truppe e mezzi sul suolo libico.
Roma non sembra poi volersi far coinvolgere nella difesa dell’area petrolifera di Brega, Ras Lanuf e Sidra, i cui pozzi e terminal non sono gestiti dall’ENI, come ha ricordato lunedì Matteo Renzi.
Il governo italiano preme invece perché con al-Sarraj si raggiunga un’intesa simile a quella stabilita con la Turchia per fermare i traffici di immigrati illegali e ha ottenuto consensi al G5 di Hannover affinché la flotta della NATO oggi impiegata nel monitoraggio anti-terrorismo (operazione Active Endeavour) partecipi alla sorveglianza delle acque di fronte alle coste libiche.
Un contesto in cui, più che di una quarta flotta in aggiunta alle due europee (operazioni Sophia e Triton) e a quella italiana (operazione Mare Sicuro), si avverte la necessità di un nuovo mandato che consenta di colpire i trafficanti nelle acque e sul territorio libico bloccando i flussi migratori.
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.