RITIRO ITALIANO: LA RISCOSSA TALEBANA A BALA MURGHAB

La disastrosa  “transizione” nel settore italiano in un reportage di Vanity Fair

Bala Murghab, in un’ampia vallata a nord di Herat nella provincia afghana di Badghis, era stata conquistata dalla compagnia Aquile del 66° reggimento fanteria Aeromobile nell’agosto del 2008. Per tenere la base nell’ex cotonificio poco fuori dal centro abitato le “aquile di Forlì” dovettero combattere per molti giorni. Da allora quel settore è stato il più caldo dell’intero ovest presidiato dagli italiani almeno fino a quando, nel settembre 2010, i nostri militari non assunsero il controllo di Bakwa e Gulistan: distretti orientali della provincia di Farah divenuti un vero inferno per i nostri militari fino al ritiro dei mesi scorsi che ha lasciato queste aree in mano alle sole forze afghane. Da Bala Murghab gli italiani si sono ritirati nel settembre 2012 nell’ambito di un ripiegamento affrettato dai tagli della spending review e dall’accelerazione del disimpegno di Isaf da tutto l’Afghanistan.

Tra luglio e dicembre due Task force da combattimento (North e South East) hanno lasciato le aree più calde nelle quali i nostri militari avevano combattuto duramente per anni e dove sono morti molti dei 53 caduti registrati dal nostro contingente in 12 anni di guerra afghana. Fin dai mesi precedenti al ritiro le fonti ufficiali italiane hanno sottolineato quasi quotidianamente le migliorate capacità delle forze afghane, la loro crescente autonomia operativa sufficiente a contrastare gli insorti anche se a nessun reporter è stato consentito di documentare le ultime fasi delle operazioni nazionali in Gulistan, Bakwa e a Bala Murghab e il ritiro da quei settori. Il motivo risulta oggi ben comprensibile alla luce di un  reportage di rara efficacia realizzato a Bala Murghab da Imma Vitelli e pubblicato in questi giorni da Vanity Fair.

Il report racconta, attraverso la voce dei protagonisti e dei famigliari delle vittime, l’uccisione di alcuni civili durante un raid effettuato dalle forze statunitensi nel settore a comando italiano avvenuto il 4 febbraio 2011 e mai divulgato dalle fonti militari. All’epoca in quell’area operava l’8 reggimento alpini della brigata Julia e il comandante del settore Ovest di Isaf (Regional Command West) era il generale Marcello Bellacicco. Del resto che anche quel conflitto abbia provocato vittime innocenti e “danni collaterali” non è certo una novità anche se i famigliari delle vittime hanno in un caso rifiutato l’indennizzo pagato da Isaf (1850 euro per ogni morto, la metà per ogni ferito) per evitare di finire nel mirino dei talebani che considerano una spia chiunque accetti il denaro degli infedeli mentre chi ha accettato quei soldi è dovuto poi fuggire da Bala Murghab.

Sul piano militare l’aspetto più interessante del reportage di Vanity Fair è l’intervista al comandante del battaglione dell’esercito afghano che presidia ancora l’area di Bala Murghab e ha rilevato la base Columbus che ospitò i militari italiani e statunitensi. La cosiddetta “bolla di sicurezza” che i militarti alleati avevano ampliato nel corso degli anni con duri combattimenti (costati centinaia di morti tra soldati, miliziani e civili) estendendola su gran parte della valle verso nord e fino a raggiungere il confine con il Turkmenistan, in appena otto mesi dopo il ritiro italiano è oggi ridotta “a una goccia di pioggia su una foglia”. Le forze afghane controllano solo il bazar, due chilometri quadrati, ma nella valle abitata per lo più da gente di etnia pashtun  “su 324 villaggi, meno di 24 sono dalla parte del governo” ha detto Hafizullah, uno degli anziani di Bala Murghab.

 

Imma Vitelli scrive che quasi tutti i rappresentati del governo vivono in esilio a Qal- i Naw, il capoluogo della provincia di Badghis, per ragioni di sicurezza. Il precedente governatore del distretto di Bala Murghab,  Mohamed Asham Habibi, “è morto in un attentato 26 giorni dopo aver ricevuto l’incarico. Karzai, il presidente, ha nominato come successore il fratello, Asham Habibi, che vive a Kabul e non si fa vivo nei villaggi che dovrebbe, in teoria, governare. Nella base Columbus ora ci sono le truppe locali. L’esercito ha lì 700 uomini; dovrebbero anche esserci 260 poliziotti, ma al ritiro dell’Isaf in 150 sono passati al nemico. Non è chiaro per quanto tempo saranno in grado di resistere. Senza l’onnipotenza dell’aviazione occidentale, la battaglia è ad armi pari: afghani contro afghani, kalashnikov contro kalashnikov.”

Il colonnello Zai Shirzai, comandante del kandak (battaglione) del 207° Corpo afghano si rammarica che gli alleati, “dopo dieci anni e tutti questi morti” se ne stiano andando senza lasciargli armi pesanti, almeno l’artiglieria, con cui difendersi. Aspetti che Analisi Difesa ha più volte evidenziato sottolineando il rischio che aree strappate ai talebani a caro prezzo (in vite e denaro) vengano di fatto riconsegnate agli insorti con un ritiro che nel caso di Bala Murghab, Gulistan e Bakwa, è stato attuato dagli italiani con un anno di anticipo rispetto a quanto inizialmente previsto e quindi ben prima che le forze afghane avessero anche solo qualche chanches di farcela da sole.  “A Bala Murghab neppure una pietra porta il nome degli italiani” ha detto Shirzai  smontando con una frase il luogo comune caro alla propaganda nazional-popolare degli “italiani brava gente” amati dalla popolazione.  Chissà se dopo la pubblicazione del reportage di Imma Vitelli a Herat o a Roma qualcuno si deciderà a fornire un po’di informazioni sulla situazione reale nel settore posto sotto il comando italiano o se continueranno a limitarsi a inviare comunicati stampa sui cambi dei comandanti delle task force, scuole costruite e visite di generali e ministri.

Foto: truppe italiane e afghane a Bala Murghab (G. Gaiani e Brigata Paracadutisti Folgore)

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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