ANGOLA: UN GIGANTE CHE BARCOLLA
Sembrava un’ascesa inarrestabile. Fino al 2002, parlare di Angola significava evocare lo spettro della guerra civile, dei movimenti di guerriglia e delle operazioni di stabilizzazione. Nel 1975, il giovane Stato angolano era appena uscito dalla decolonizzazione portoghese. Imboccò immediatamente il tunnel mortale del conflitto interno.
Ne seguirono tre decenni di devastazioni. Poi molto è cambiato. Il paese è diventato uno dei giganti africani. Ma sta pagando a caro prezzo il crollo del corso del petrolio. Le casse centrali sono vuote. Il debito cresce e l’economia stagna. Il PIL non supererà il 4% almeno fino al 2019. Una percentuale da paragonare al 12% del decennio d’oro 2002-2013.
L’anno scorso il tasso d’inflazione ha sforato il 14%, riportando indietro di un’epoca le lancette della storia. La doppia cifra nella crescita generale dei prezzi era un ricordo sfumato. Anche la moneta, similmente al paese, sta languendo. Il kwanza ha perso in un solo anno il 30% del suo valore rispetto al dollaro. Tanto che i 5 miliardi del Fundo Soberano de Angola sono evaporati in gran fretta. Luanda ha bussato alle porte del Fondo monetario internazionale, confermando di essere finita in pieno nella trappola del binomio materie prime-economia petrodipendente.
Il petrolio, di cui l’Angola è secondo produttore africano, poco dietro la Nigeria, vale circa l’80% delle entrate pubbliche, il 47% del Pil e il 90% delle esportazioni, contro il 5% dei diamanti, altro atout del Paese, ricco di molti minerali, uranio incluso. C’è un forte potenziale idroelettrico, poco o punto sfruttato. La corruzione impera. Distrae molti fondi. E’ endemica sia nel settore civile che in quello militare.
In genere, quel che arriva realmente a destinazione è molto inferiore alle cifre ufficiali, perché a tutti i livelli ci sono prelievi personali e sottrazioni pecuniarie, quasi impossibili da recuperare perché il sistema fiscale fa acqua da tutte le parti. Transparency International denuncia da anni il fenomeno, comune a diversi paesi africani. Uno spettro che priva le tesorerie statali di almeno 140 miliardi di dollari l’anno e impedisce un sano sviluppo economico. Come se non bastasse, in Angola la disoccupazione sfiora il 25%. Metà circa della popolazione vive con meno di due dollari al giorno.
Gli interessi stranieri
Oggi l’Angola è il principale partner petrolifero africano di Pechino e nelle varie assegnazioni dei blocchi off-shore si assiste spesso alle classiche manovre cinesi in Africa sub-sahariana. Aiuti allo sviluppo in cambio di corsie preferenziali.
Il petrolio angolano fa gola a molti. Ci sono 9 miliardi di barili di riserve accertate e la produzione giornaliera supera i 2,5 milioni di barili, più che raddoppiata dal 2002. Il regime contrattuale e fiscale, permissivo, rende molto remunerative le attività di esplorazione e prospezione.
Come se non bastasse offre innumerevoli vantaggi nella spartizione dei proventi, che in alcuni casi sfiorano il 15% del guadagno totale. Ce n’è abbastanza per attrarre le grandi compagnie multinazionali, americane, asiatiche, francesi e italiane in primis. Fra le principali major attive nel paese spiccano ExxonMobil, Chevron, Shell, British Petroleum, Maersk, Total, Statoil, Petrogal, Petronas, Sinopec e la nostra ENI.
Secondo gli ultimi dati disponibili, la compagnia italiana opera in Angola con 72 concessioni minerarie, un’attività concentrata nell’offshore convenzionale e profondo, per una produzione superiore ai 105.000 barili di olio equivalente al giorno, quasi esclusivamentepetrolio e condensati Le principali aree di produzione partecipate da ENI si trovano nel Blocco 0, in Cabinda, e nei Blocchi 14 e 15, in sinergia con la società statale Sonangol che opera attraverso joint venture e accordi di sfruttamento.
Al vertice della major angolana è arrivata fresca fresca di nomina la figlia del presidente, Isabel dos Santos (nella foto a sinistra) già indicata da Forbes come la donna più ricca d’Africa, con una miriade di interessi nell’industria dei diamanti, nelle banche, nei media e nelle telecomunicazioni, e un buon 7% della portoghese Galp Energia
Affari di famiglia. Anche se è bene ricordare che l’Angola si è aperta al mercato, ha integrato l’Opec nel 2005 e non ha mai minacciato nazionalizzazioni del settore, favorendo l’entrata di nuovi attori. Ha un’ubicazione geografica favorevole ai trasporti marittimi, con porti d’importanza strategica, fra cui spiccano Luanda, Lobito e Namibe, basi principali della Marina, insieme a Cabinda e Soyo.
Un supertanker proveniente dall’area può raggiungere le coste cinesi e americane in una settimana o poco più. Anche le raffinerie europee non sono molto più distanti.
Poi il petrolio angolano è di alta qualità. Ha poco zolfo, è leggero. Tanto che il Cabinda crude oil e il Bonny light hanno acquistato rinomanza mondiale. I giacimenti sono prevalentemente off-shore, più facili da proteggere da eventuali attacchi terroristici. La zona economica esclusiva si estende per 548.784 kmq, inclusivi di gran parte dei giacimenti di petrolio e gas marini.
Sebbene la pirateria marittima sia in forte crescita in tutto il Golfo di Guinea non colpisce quasi mai l’area di responsabilità dell’Angola che, ad ogni modo, è parte della Commissione del Golfo, creata il 19 novembre 1999.
Un vertice a tema si terrà a Lomé il prossimo ottobre, sotto l’egida dell’Unione Africana e Luanda sarà ovviamente della partita.
I paesi della regione hanno una parvenza di strategia comune per lottare contro la pirateria e i traffici illegali. Tendono a mutualizzare gli equipaggiamenti, a condividere l’intelligence e ad armonizzare le procedure giudiziarie.
Ma senza esagerare troppo per ora. La proiezione internazionale dell’Angola stessa è minima, sebbene il paese giochi un ruolo di prima linea nella comunità dei paesi di lingua portoghese. Le forze armate sono una delle principali carte da spendere. Vediamo di conoscerle meglio.
Le Forze Armate Angolane
Le FAA (Forças Armadas Angolana) sono nate nel 1991 dalla trasformazione delle FAPLA (Forças Armadas Populares de Libertação de Angola) che avevano combattuto contro i portoghesi. Alla fine della guerra civile, nel 2002, combattenti di altri movimenti ribelli, fra cui trenta ufficiali generali dell’UNITA (Unione Nazionale per l’Indipendenza Totale dell’Angola), sono stati integrati nei suoi ranghi.
Quanto basta a fare delle FAA il simbolo della riconciliazione nazionale. Lo stesso generale Nunda, comandante supremo dal 2010, è un ex responsabile militare dell’UNITA.
Forgiate da lunghi anni di guerra, le FAA contendono oggi al Sudafrica il rango di maggior potenza militare africana.
O almeno cercano, visto che rispetto ai sudafricani hanno minori capacità di proiezione e notevoli carenze nel combattimento moderno. L’attivismo del presidente sudafricano Jacob Zuma, che non esita a spedire le truppe in missioni pericolose, contrasta con la prudenza diplomatica del presidente dos Santos, cui l’articolo 108 della Costituzione affida il comando in capo delle Forze Armate.
Il Presidente ha rifiutato d’integrare la brigata d’intervento delle Nazioni Unite nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDC) e ha risposto picche al segretario generale Ban Ki-moon, che gli chiedeva elicotteri per le missioni in Congo e Sudan.
Conosce i suoi limiti: un esercito ipertrofico, una marina da guerra quasi inesistente e un’aviazione passata dagli splendori degli anni ’80 al declino del 1992-1993, per attestarsi oggi su capacità mediamente accettabili. É vero. Gli effettivi decrescono ormai dal 2002, ma restano elevati e farne una stima precisa è piuttosto azzardato.
Secondo diverse fonti, erano 130.500 nel 2007, ma superano ancora le 100.000 unità nel 2016, su una popolazione totale di 20 milioni di abitanti. La coscrizione è ancora vigente, sebbene gli arruolamenti siano molto inferiori rispetto al periodo della guerra civile.
Il servizio militare obbligatorio dura un biennio, a partire dal 20o anno di età. I centri di formazione di Luena e Huambo preparano le truppe, mentre i sottufficiali si addestrano alla Scuola interarma di Huila. Le condizioni di vita sono durissime. In passato, gli ufficiali sono stati formati in Russia, a Cuba e in Portogallo e con quest’ultimo paese i legami sono ancora fortissimi.
La comunità dei paesi di lingua portoghese, che ha appena compiuto vent’anni, è impegnata da almeno un decennio in esercitazioni regolari della serie Felino, tese ad affinare il savoir-faire nelle operazioni di peacekeeping e di assistenza umanitaria sotto l’egida delle Nazioni Unite. Dagli anni ’90, Lisbona tenta di mantenere un’influenza privilegiata in seno alle FAA.
Un accordo tecnico-militare lega i due paesi e la missione di cooperazione militare permette al Portogallo di partecipare all’addestramento dei militari angolani. A oggi, si contano almeno 12 progetti di cooperazione per un valore di 1,6 milioni di euro. Nuove prospettive si aprono anche in Francia e in Italia: Luanda vuole formare i suoi ufficiali nelle nostre accademie e scuole militari.
Cresce il procurement di materiali occidentali. L’Italia ha un addetto militare a Luanda, come la Francia, il Brasile, l’Ucraina, Cuba e molti altri paesi africani.
Nessuno dimentichi che l’Angola è membro dell’Unione Africana (UA) e di due organizzazioni regionali: la Southern African Development Community (SADC) e la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Centrale (ECCAS), che ha fra i suoi obiettivi principali il mantenimento della pace, della sicurezza e della stabilità nei 10 paesi membri, e una proiezione continentale visto che contribuisce all’African Standby Force con la FOMAC (Central African Multinational Force), puntando a galvanizzarne l’operatività e pensando a una base logistica comune, da installare prioritariamente in Angola.
Anche la SADC organizza diverse esercitazioni per forgiare la brigata d’allerta comunitaria e permettere alle forze della regione di armonizzare procedure operative e tattiche d’intervento. Il generale angolano Falcão è a capo dell’elemento di pianificazione permanente.
Nel frattempo, cresce la collaborazione anche con la Cina e con gli Stati Uniti, che da qualche anno considerano l’Angola come un partner strategico. Molto ruota intorno agli scambi bilaterali al più alto livello militare, ormai usuali fra Luanda e l’Africa Command e all’assistenza finanziaria: l’Angola beneficia dei fondi del programma IMET (International Military Education and Training) e NADR (Nonproliferation, Anti-terrorism, Demining, and Related Programs) ed è stata ammessa a ricevere i cosiddetti Excess Defense Articles (EDA).
La formazione interna e l’organizzazione delle FAA
Esiste oggi un sistema complesso di formazione interna e composto da un collegio militare, dall’accademia militare di Angola, dalla scuola superiore di guerra, dalla scuola di amministrazione militare, dal centro di formazione delle forze speciali, e da una scuola di logistica e sanità militare. L’Esercito dispone della Scuola Interarma per gli Ufficiali e di un centro a Lubango, oltre alle scuole di Luena, Huambo e Huila.
A Namibe sorge invece la scuola di applicazione dell’armamento e delle tecniche militari e un centro di formazione per autieri. Parliamo di scuole e centri di formazione che accolgono stagisti provenienti dalla Guinea-Bissau, dalla Guinea Conakry, dal Congo e dal Mozambico.
La Marina non ha ancora un’accademia navale, visti gli effettivi modesti. Forma da sei anni ufficiali di carriera, poi spediti alla scuola di ingegneria navale, dove gli uomini si specializzano in meccanica, tecnologia degli armamenti ed elettronica, ma c’è chi preferisce intraprendere la strada dell’amministrazione navale o quella altrettanto ambiziosa dei fucilieri di marina. L’Aeronautica dispone invece della scuola ad hoc di Lobito, creata negli anni ’80.
Da questa breve disamina è facile arguire la composizione delle FAA, divise nelle tre branche tradizionali: Exército nacional, Marinha de Guerra Angolana e la Força Aérea Popular de Angola/Defesa Aérea e Antiaérea (FAPA/DAA).
L’organizzazione territoriale comprende quattro regioni militari, Nord, Centro, Sud ed Est, e due regioni militari speciali, a Luanda e in Cabinda. Nella prima sono schierate la Guardia presidenziale, la Brigata d’Artiglieria EME, la 101a Brigata carri e un Reggimento di polizia militare. In Cabinda è invece di stanza la 10a Brigata di fanteria, a presidio di terre che valgono metà circa dell’output petrolifero nazionale.
L’enclave, situata fra il Congo e la RDC, ha una tendenza ancestrale all’instabilità interna e all’uso delle armi.
Storicamente vi si sono combattute decine di battaglie, comprese quelle fra potenze coloniali per il controllo degli snodi di commercio degli schiavi. Il dispositivo territoriale-militare odierno è subentrato ai fronti e alle zone militari tipiche della lotta indipendentista, ed è oggi importante soprattutto ai fini della coscrizione.
Lo Stato maggiore generale, posto al vertice dell’organizzazione, conta otto direzioni principali e, dal 2011, una direzione incaricata delle operazioni di peacekeeping, che ha subito un duro smacco con la missione fallimentare in Guinea-Bissau (2012).
Diverse sono le strutture dedicate all’intelligence, fra cui la Direzione dell’intelligence militare operativa e la Direzione principale di contro-spionaggio militare.
La presidenza della Repubblica dispone inoltre dell’unità della Guardia Presidenziale e dell’unità di Sicurezza Presidenziale: un insieme di 11.000 uomini, molto meglio equipaggiati dei regolari e assai più remunerati, con un salario pari al quintuplo della paga di un militare ordinario.
Oggi le FAA non fronteggiano alcuna minaccia militare esterna, sebbene il paese segua con apprensione l’evolversi della situazione nella RDC. All’interno, qualche problema riemerge nella regione di Cabinda, dove esistono ancora dei movimenti autonomisti armati come il FLEC (Frente para a Libertação do Enclave de Cabinda), e nelle zone rurali, per la presenza di un forte elemento criminale.
L’Exército Nacional
L’Esercito angolano, i cui effettivi ammontano a 100.000 uomini, è in fase di ristrutturazione dalla fine della guerra civile.
Le forze di manovra contano oggi sei divisioni di fanteria e 16 brigate, una delle quali corazzata e dieci motorizzate, cui si sommano alcune brigate specializzate come quella del genio, anche se è arduo descriverne esattamente composizione e organizzazione. Jane’s parla di 27 reggimenti di fanteria motorizzata e meccanizzata, supportati da due reggimenti blindati e uno di artiglieria. L’unità più significativa è senz’altro la brigata di forze speciali o BRIFE, con quartier generale a Cabo Ledo, 120 km a sud della capitale
La brigata include due battaglioni di commando, due compagnie per operazioni speciali, un battaglione con lanciarazzi multipli, un’unità logistica e il Grupo de Ações Especiais, creato nel 1998 e forte di un centinaio di uomini, reclutati in seno alla brigata. Il Grupo è l’unità meglio armata dell’Esercito, equipaggiata con visori notturni, telemetri laser, mezzi satellitari, GPS e così via. Conta oggi alcune centinaia di incursori paracadutisti, selezionati fra i commando, le forze speciali e i fucilieri di marina.
Questi ultimi provengono dalla Brigada de Fuzileiros (BrigFuz) di Ambriz, 170 km a nord di Luanda, parte integrante della Marina da Guerra, ma dipendenti per l’impiego dalla Direzione delle forze speciali. L’Angola non prevede di creare unità di parà vere e proprie, ma di forgiare alla suddetta capacità i militari della BRIFE. Tutto è partito nel 2014 con l’assistenza di un contractor portoghese: il gruppo Milicia, società privata dalla lunga esperienza angolana.
I primi lanci sono avvenuti grazie ai due Mi-17 del reggimento elicotteristico di Luanda. Ma in futuro si spera di poter ricorrere all’ala fissa, risorse permettendo. Il bilancio della difesa sta subendo infatti un crollo vertiginoso, dopo i fasti pre-crisi. Nel 2016, sono stati stanziati appena 4,7 miliardi di dollari, che in termini reali fanno -2,8% rispetto al 2014. In percentuale del PIL siamo intorno al 3,3%, da confrontare al 4,7% del 2013. Al procurement è allocato soltanto l’8% delle poste complessive e molti contratti saranno senz’altro rimandati.
Come si capirà i materiali in servizio nell’esercito sono un po’ datati: quelli pesanti sono stati acquistati prevalentemente nel corso della guerra civile o prima del 2002. Trecento circa sono i carri da combattimento, gran parte dei quali T-54 e T-55 (116 operativi), 18 T-62 e 25 T-72. Alcune fonti parlano anche di qualche T-80/T-84.
Un migliaio sono i veicoli blindati da combattimento di fanteria, da trasporto truppe e da ricognizione. Fra i primi citiamo qualche BMP-3 e 150 BMP-1 e BMP-2; fra i secondi spiccano 40 BTR-152, 62 BTR-60 e 11 BTR-80, mentre 40 sono i ‘ricognitori’ BRDM-2 e una dozzina i PT-76. Alcune immagini risalenti all’operazione angolana in Guinea-Bissau mostrerebbero almeno 7 veicoli antimina Werewolf in servizio con l’Esercito, ma non si sa con precisione quanti l’Angola ne abbia ordinato all’azienda costruttrice namibiana WMF.
Nei prossimi anni dovrebbero inoltre arrivare dal Sudafrica 45 veicoli corazzati Casspir NG 2000B, prodotti da Denel Land Systems: almeno 30 saranno in configurazione APC (Armoured Personnel Carrier), con torrette leggere per mitragliatrici. Quanto all’artiglieria, sono un centinaio i pezzi in calibro superiore ai 100 mm, gran parte dei quali vecchi obici D-30 da 122 mm e lanciarazzi multipli BM-21, BM-24 e RM-70 Dana.
La Marinha de Guerra Angolana
La Marina angolana è una componente di Forza armata relativamente giovane, essendo nata nel luglio del 1976. Ha fra i suoi compiti principali la protezione delle installazioni petrolifere off-shore. Per il Capo di Stato Maggiore, vice-ammiraglio José Francisco, la Marinha de Guerra è oggi in grado di controllare i 1.600 km di coste angolane fino a una distanza di 100 miglia, ma l’obiettivo è di arrivare a 300 miglia. I piani sono ambiziosi.
Ma la realtà attuale è deludente. Gli effettivi non raggiungono le 1.000 unità e sono tutti volontari. La flotta, a lungo composta da materiali sovietici, è in uno stato operativo incerto. E’ stato annullato anche il procurement di 6 pattugliatori da 500 tonnellate classe Napa 500, dell’azienda di stato brasiliana EMGEPRON. A fine 2017 dovrebbero però arrivare armi antinave italiane per 2 motosiluranti soldi permettendo. Nel 1982-83, il Paese aveva ricevuto sei pattugliatori rapidi lanciamissili Osa 2, ormai fuori uso.
Rimangono in servizio quattro pattugliatori di costruzione spagnola classe Manduma, rinnovati nel 2009, e sette vedette, cinque delle quali Type P-618 da 18 tonnellate a pieno carico e due classe Namacurra, da 4 tonnellate.
La sorveglianza costiera è assicurata da una rete di radar in banda S, installati anche sulle piattaforme off-shore, mentre il pattugliamento aero-marittimo è affidato a sette velivoli CASA 212 e a un Fokker F-27.
Sebbene non presentino più alcun valore militare, figurano ancora nell’ordine di battaglia alcune batterie di missili costieri SS-C-1 Sepal.
Le capacità anfibie sono tutte in seno alla Brigada de Fuzileiros Navais d’Angola, capace di allineare un battaglione anfibio su quattro compagnie di fanteria. Poca roba insomma.
Per un salto di qualità nella sicurezza costiera e nella protezione della zona economica esclusiva servirebbero all’Angola non meno di una fregata, tre corvette, tre pattugliatori d’altura e unità minori.
Prospettive in tal senso potrebbero aprirsi anche per le aziende italiane e per il naviglio in fase di radiazione. Paradossalmente, l’Amministrazione di sorveglianza delle aree di pesca è più fornita della Marina da Guerra: dispone di due navi del tipo Fishery Inspection Surveillance Vessel 6210, consegnate nel 2012 e nel 2013, di 5 pattugliatori costieri ARESA PVC-170 e di 5 pattugliatori d’altura, commissionati nel 2009 ai cantieri cinesi Jianlong Shipbuilding.
Tutte unità acquisite nell’ambito di un programma regionale della SADC, che vede Angola, Namibia e Sudafrica collaborare nella protezione delle zone alieutiche.
La Força Aérea Popular de Angola
Nata nel 1976, l’Aviazione angolana conta oggi 7.000 uomini e una linea di volo di 94 fra caccia e cacciabombardieri, una cinquantina di trasporti e oltre 60 elicotteri.
Le basi principali sono Lobito, Luanda, Lubango e Namibe, impiegate un tempo anche dall’aeronautica portoghese.
Le macchine in servizio sono decisamente datate: fra i velivoli da superiorità aerea, i più avanzati sono i 6 Su-27/Su-27UB Flanker, acquistati nel 1999 dalla Bielorussia, cui si sommano 18 MiG-23ML Flogger e 20 MiG-21bis/MiG-21MF Fishbed. Luanda ha però cominciato a ricevere i primi 4 dei 12 Su-30K, già ordinati a Mosca nell’ambito di un contratto da oltre un miliardo di dollari siglato nell’ottobre 2013 in occasione di una visita in Angola del vice primo ministro russo Dmitry Rogozin.
La commessa include parti di ricambio e armi per i cacciabombardieri ed 8 se non più elicotteri Mil Mi-171Sh. Mosca e Luanda, avrebbero convenuto di costruire nel paese africano anche una fabbrica di munizionamento.
Tornando alla linea di volo, per le missioni di attacco e di appoggio al suolo, la FAPA dispone dal 1989 di 8 Su-25 Frogfoot e 2 Su-25UB. Nello stesso periodo, sono arrivati dalla Slovacchia 24 Su-22, ma i velivoli realmente operativi sarebbero oggi la metà.
Da notare che l’Aviazione angolana utilizza per le missioni di supporto aereo ravvicinato anche i monomotori Pilatus PC-7 e PC-9 e 13 EMB-312 Tucano, che datano dalla fine degli anni ’90. Nel luglio 2013, è inoltre arrivato il primo dei 6 Super-Tucano oggi in linea.
La FAPA ha buone capacità di trasporto strategico grazie a 8 Il-76TD, cui si sommano cargo tattici An-26/32 e 8 Antonov An-72 a decollo corto.
La componente elicotteristica è imperniata su 22 Mi-24 Hind e altrettanti Mi-35 d’attacco, 27 Mi-8 e M-17 da trasporto, 8 Bell 212, 8 Gazelle con missili HOT, 10 Alouette e 8 Panther.
La difesa aerea è affidata a diverse batterie di missili SA-3, SA-6, SA-10, ed S-22.
I problemi economici e il risveglio delseparatismo in Cabinda stanno mettendo in forte pressione le forze armate del paese, proprio in un momento in cui si sta aprendo la successione al vertice.
Il presidente dos Santos dovrebbe lasciare infatti il potere nel 2018, dopo 36 anni di dominio semi-assoluto . Il lavoro da fare sarà enorme, per chiunque gli subentrerà.
Foto: Jane’s, BBC, CNN, Xinhua, African Business Review, Airplane Pictures, Angola Press, O Pais e Getty Images
Francesco PalmasVedi tutti gli articoli
Nato a Cagliari, dove ha seguito gli studi classici e universitari, si è trasferito a Roma per frequentare come civile il 6° Corso Superiore di Stato Maggiore Interforze. Analista militare indipendente, scrive attualmente per Panorama Difesa, Informazioni della Difesa e il quotidiano Avvenire. Ha collaborato con Rivista Militare, Rivista Marittima, Rivista Aeronautica, Rivista della Guardia di Finanza, Storia Militare, Storia&Battaglie, Tecnologia&Difesa, Raid, Affari Esteri e Rivista di Studi Politici Internazionali. Ha pubblicato un saggio sugli avvenimenti della politica estera francese fra il settembre del 1944 e il maggio del 1945 e curato un volume sul Poligono di Nettuno, edito dal Segretariato della Difesa.