F-35: perchè il ministro Mauro non convince

di Ermanno Graffi

•    “Il programma F-35, a cui l’Italia ha aderito alla fine del 1998, è stato piu’ volte valutato, apprezzato e votato dal parlamento italiano e quindi quanto si fa e quanto si investe in questo programma dipende dai criteri che già allora e poi piu’ volte e ripetutamente sono stati approvati dal parlamento”.
•    ‘Il programma ‘F-35′ viene ipotizzato a partire dal 1996 dal mio predecessore Beniamino Andreatta e il 15 luglio dedicheremo a lui la sala del Cad, Centro di Alta Formazione della Difesa. E’ un omaggio credo dovuto – ha aggiunto – alla lungimiranza di un uomo che ha avuto una visione della Difesa che si abbina ad una strategia costante per la difesa della pace”.
•    ”Il programma dell’F-35 e’ legato allo sviluppo di un progetto industriale, per cui e’ grazie alle leggi di assoluta trasparenza del contesto statunitense che noi sappiamo, in ogni momento, dove sono i problemi. Quindi, li dove i problemi si manifestano, vengono superati nel tempo ragionevole del programma, altrimenti il programma sarebbe stato interrotto”.
•    “Gli F-35 saranno 90 e andranno a sostituire 256 aerei. Se andrà così direi che non stiamo aumentando la nostra forza bellica, la stiamo diminuendo”.

Il Ministro della Difesa Mario Mauro, appare molto convinto di quello che dice quando parla, e lo fa tantissimo, dell’F-35. Proviamo a vedere se quello che dice è tutto così “convincente”. Cominciamo con gli aerei che i 90 F-35 andranno a sostituire. Mauro si riferisce agli Harrier della Marina e agli AMX e ai Tornado dell’AM destinati ad essere sostituiti dai JSF. Il problema è che questi aerei non sono 256. Possibile che il Parlamento non si sia mai chiesto se quanto affermato dal ministro della Difesa e dai vertici di AM e Segredifesa sia vero? 256 è il totale degli aerei dei tre tipi di aereo effettivamente entrati in servizio a partire dal 1981 (100 Tornado, 136 AMX e 18 Harrier) escludendo gli esemplari in azienda per i test. Ma oggi in Italia sono rimasti in servizio solo 52 AMX (gli unici aggiornati ACOL) e circa una sessantina di Tornado, peraltro tutti aggiornati o ancora in corso di aggiornamento. A questi si aggiungono i 16 Harrier della Marina dei 18 acquistati. Il totale fa circa 130, dunque un rapporto di sostituzione più vicino a 1 a 1 che a meno di 1 a 2 come dichiarato da Mauro.

 

 

 
Il ministro si dice certo della assoluta trasparenza americana e di sapere “in ogni momento, dove sono i problemi” che sono con certezza e decisione risolti! Ebbene proprio la trasparenza e i problemi tecnici irrisolti e in parte irrisolvibili rendono il programma JSF come il simbolo dell’inefficienza e dello strapotere dell’industria della Difesa americana sugli organismi di governo e sulle forze armate e che gli stanno creando problemi in tutto il mondo. Il JSF avrebbe dovuto essere meno costoso da acquisire degli aerei che è destinato a sostituire e avere costi di esercizio minori. Lockheed Martin parlava, trionfalmente nel corso degli airshow, di 4mila, 5mila, addirittura di 6mila aerei da produrre. Come noto la situazione non è proprio questa. Laddove governi democratici hanno cominciato a vederci poco chiaro, la macchina perfetta di lobby-pressioni diplomatiche-marketing messa in piedi dagli USA e da LM, che ha funzionato così bene anche in Italia, e che prevedeva un acquisto senza gara, ha cominciato a scricchiolare.Siccome non tutti i paesi sono come l’Italia e i Parlamenti hanno un ruolo serio e incisivo e non tutti i governi sono incapaci di far fronte alle richieste degli americani, in Canada il programma si è bloccato di fronte all’emerge di menzogne sui costi totali del programma ripetutamente fatte dal governo in carica al Parlamento che ha dunque deciso di assoldare un consulente finanziario per verificare i veri costi del programma. Ne è emerso che i veri costi di procurement ed esercizio erano tre volte quelli annunciati dai “marketing manager” del governo. In Olanda, come detto, dopo aver ordinato i primi due aerei a ben 400 milioni di dollari l’uno, si e’ deciso di congelare il programma in attesa di una discussione più approfondita e di un’approvazione finale (analogie con l’Italia a non finire, con la differenza che in questo caso il Parlamento è sovrano). Il risultato, grottesco, è che i primi due aerei consegnati saranno accantonati in un hangar in attesa di tempi migliori. Comunque l’Olanda, anche se andrà avanti con il JSF non ordinerà più di 30 aerei.

La Turchia ha semplicemente detto che visto che costano troppo e sono pieni di problemi tecnici, l’ordine dei primi due sarà fatto quando le condizioni economiche e lo standard operativo saranno decenti. Il Regno Unito si e’ impegnato per soli 48 esemplari, in versione -B per le portaerei, lasciando intendere che se ne riparlerà, forse, con il prossimo piano quinquennale, a partire dal 2015, per un altro Squadron per la RAF, ma che certo i 138 esemplari ipotizzati qualche anno fa, sono un sogno irrealizzabile. La Danimarca, anche in questo caso a seguito di dibattito parlamentare, ha semplicemente detto che di acquisizione diretta non se ne parla neanche e che si va ad una vera e propria gara con Eurofighter e F-18 in competizione e che comunque ora si parla al massimo di 30 aerei (forse meno) e non di 48. Questo, sommato alle incertezze italiane, genera una serie di problemi piuttosto importanti al programma in quanto proprio gli ordini dei partner erano fondamentali per mantenere basso il costo dei lotti iniziali dei JSF, oggi pari a oltre 200 milioni di dollari a macchina, molto più alto che qualsiasi altro caccia sul mercato inclusi i Rafale che, a causa del piccolo numero di aerei ordinati (180) ha un costo di programma per unità di oltre 140 milioni di euro.

 

 

 

 

 

 

 

 

In realtà il JSF è ancora in fase di sviluppo (dopo 13 anni dal primo volo dell’X-35 nell’ottobre 2000 ), i problemi tecnici sono enormi e proprio perché per alcuni di essi sarà impossibile risolverli le specifiche per quanto riguarda alcuni parametri di volo e di performance sono già state abbassate. L’assunto che il JSF e’ americano, e sarà dunque, per definizione, sarà un ottimo aereo, è errato come insegna la storia: F-101 Vodoo, Vigilante, F-111, F-105 e lo stesso F-104 che gli americani non hanno mai voluto in servizio appioppandolo però in gran numero agli alleati, sono classici esempi di aerei che non hanno mai raggiunto le specifiche previste, sono costati molto di più di quanto pianificato e che sono stati utilizzati per compiti non previsti e ridotti rispetto a quelli per cui erano stati progettati.

I partner internazionali del programma, dunque anche l’Italia, sanno bene che avranno un JSF operativo, con le caratteristiche per cui lo hanno scelto, prima del 2020, se siamo fortunati. Ma perché l’Italia vuole il JSF? AM, Segredifesa il Ministro, dicono per mantenere un Aeronautica in grado di operare e per poter partecipare alle missioni di coalizione. Una domanda sorge spontanea: La Francia e la Germania, paesi che hanno bilanci della difesa molto più importanti del nostro, hanno forse deciso di fare a meno di un’Aeronautica e di partecipare a missioni di coalizione? Non ci sembra, eppure non ci pensano neanche a prendere il JSF e invece hanno deciso di procedere, visti i tagli ai bilanci, per una flotta di aerei da combattimento su un solo tipo di aereo, il Rafale per la Francia e l’Eurofighter per la Germania. Questo avverrà progressivamente, quando i Tornado tedeschi andranno in naftalina, tra una decina d’anni e i Mirage 2000 francesi seguiranno la stessa sorte.

Oggi il problema principale dell’AM è la riduzione del budget per l’esercizio, l’attività quotidiana, che sta penalizzando fortemente l’addestramento del personale e dunque, in fondo, le effettive capacità della forza aerea. Si chiudono le basi, i piloti volano sempre meno ore di volo, non si fanno più tutte le esercitazioni nazionali e internazionali che si facevano una volta, gli Squadron Exchange con altri reparti della NATO sono un ricordo del passato, i piloti non più operativi perdono le abilitazioni al volo perché non ci sono i soldi per fare anche quelle poche ore di volo l’anno necessarie per mantenerle attive.
Nelle intenzioni dei pianificatori americani il JSF doveva costare meno da operare di F-16 e A-10 che è destinato a sostituire (notare bene che non si parla di sostituire con i JSF gli F-15E, l’equivalente dei Tornado nell’USAF). Recentemente, nel corso di un’audizione in Parlamento, il direttore del programma dell’USAF, Chris Bogdan ha dichiarato ai preoccupati parlamentari olandesi che invece costerà il 10% in piu’ per ora di volo degli F-16, ma documenti ufficiali del governo statunitense pubblicati poco dopo dicono che invece i costi saranno maggiori del 43%. Se per sostituire un Tornado un F-35 potrebbe anche andare bene (anche se i JSF non saranno mai in grado di portare il carico bellico di un Tornado e in particolare gli Storm Shadow che ne rappresentano l’unica e più importante arma strategica italiana, cosa che costringerà l’AM, finalmente, a far diventare multiruolo almeno parte dei suoi Typhoon), ha senso che l’Italia sostituisca gli AMX, un cacciabombardiere leggero ottimizzato per le missioni CAS con un JSF?

 

 

 

 

 

 

 

 

Ha senso mandare un JSF, con i suoi altissimi costi operativi, a fare spavento ai Talebani o a sganciare due bombe leggere da 5000 m di quota sugli insorti antigovernativi in un qualsiasi paese del mondo armati, quando va bene, di una mitragliera da 14,5 mm? La stessa AM ha recentemente evidenziato questo aspetto. Nel corso della Fighter Conference di Londra del 2011, un generale dell’AM mise in evidenza il ruolo perfetto dell’AMX nel corso delle operazioni sulla Libia e in Afghanistan. Leggero, efficiente, poco costoso da operare, capace di scoprire, agganciare e attaccare i bersagli in modo autonomo e inserito nella rete di comando e controllo, l’AMX si è dimostrato l’ideale “coalition fighter” per le operazioni di peace enforcement e peace keeping in scenari dove non esiste un particolare contrasto terra-aria o aria-aria o dove il lavoro di soppressione delle difese aeree e dei centri di Comando e Controllo nemici è già stato fatto nel corso del Day 1 da altri tipi di assetti. Una macchina molto utile e oggi quasi indispensabile che purtroppo nelle forze aeree moderne non trova piu’ tanto spazio. Si pensi alle operazioni in Mali. Francesi hanno dovuto utilizzare Rafale, Mirage 2000, Mirage F.1, tra l’altro supportati da rifornimento in volo, per portare al massimo due bombe i Mirage e quattro i Rafale da sganciare sulle “tecniche” dei ribelli jahadisti. Decisamente un eccessivo impiego di assetti dal costo operativo molto elevato (sia per ora di volo che per costo dell’armamento impiegato rispetto al valore del bersaglio). Anche in quello scenario gli AMX sarebbero stati ideali. Una bella rivincita per un aereo spesso sottovalutato e denigrato. Ebbene, disse quel generale a microfoni spenti, un “nuovo” AMX sarebbe la soluzione ideale.
Non avrebbe avuto maggior senso uniformare la flotta di aerei da combattimento italiani sul Typhoon? 121 aerei, come previsto, distribuiti tra reparti da difesa aerea e da attacco con l’opzione fondamentale, grazie al radar a scansione elettronica in fase di sviluppo, di usarli per sostituire pienamente i Tornado sia nell’attacco al suolo che per le missioni SEAD, senza limitazioni operative (Storm Shadow, missili antinave, attacco elettronico, etc.) e con una semplificazione della linea logistica, addestramento, manutenzione. A questi si sarebbe potuto aggiungere il citato “nuovo AMX” per le missioni di coalizione, cioè la versione Light Combat dell’M-346 brevemente proposta dalla Alenia Aermacchi e poi caduta nel dimenticatoio visto il disinteresse della forza aerea nazionale. Con 121 Eurofighter e 30 LCA l’AM avrebbe ottenuto enormi risparmi sul bilancio della Difesa per acquisizione ed esercizio, un fortissimo impatto sull’economia del paese, un beneficio per l’industria nazionale e avrebbe risolto i suoi problemi per i prossimi 40 anni senza cedere sovranità e autonomia operativa agli americani e senza danneggiare, come sta facendo, le prospettive dell’industria nazionale.

 

 

 

 

 

 

 

 

Un altro aspetto decisamente anomalo del programma e’ quello che, con il bilancio della difesa, cioè a scapito di tanti programmi di acquisizione per tutte le forze armate, l’AM abbia deciso di usare circa 900 milioni di dollari per realizzare uno stabilimento industriale dentro una propria base aerea, completamente staccato – dunque con inevitabili inefficienze e extra costi, senza parlare dell’impossibilita’ di riconversione a lungo termine – dagli altri impianti aeronautici presenti nel paese, ben prima di aver anche solo ordinato un singolo aereo! Una decisione che e’ apparsa a molti come una forzatura, quasi un voler mettere il Paese di fronte ad un fatto compiuto da cui sarebbe poco razionale tornare indietro. Un po’ come avvenuto negli USA, dove il programma, di fronte al triplicamento dei costi, i grandi problemi tecnici e i ritardi nello sviluppo, si e’ salvato da un inevitabile taglio solo perché “too big to fail” e grazie alla geniale organizzazione del programma che coinvolge, almeno nelle intenzioni nove partner internazionali (in realtà solo 5 hanno finora ordinato alcuni esemplari dell’aereo di cui solo 3 partner originari del programma, Italia, UK e Olanda).
Una forza aerea che costruisce un impianto industriale non è cosa comune. E’ avvenuto durante la seconda guerra mondiale in USA ma il parallelo ci sembra un po’ forzato. In Giappone la realizzazione di una FACO (altra bugia spesso raccontata al Paese è che in Italia c’è la sola linea di assemblaggio finale e di manutenzione fuori dagli USA) è stato deciso solo dopo la formalizzazione dell’ordine per 42 aerei, non certo prima. Quei 900 milioni di dollari per la FACO di Cameri sono stati spesso pubblicizzati come un chiaro beneficio per l’economia del Paese ma un quotidiano italiano tempo fa scrisse che ben 300 di quei milioni sono invece volati in USA, alla Lockheed Martin che ovviamente non si è lasciata sfuggire questa occasione e per fornire attrezzature, brevetti etc. si è fatta pagare profumatamente, il resto è andato in gran parte ad aziende edili, dunque si può dire che all’industria della Difesa italiana la FACO è costata 800 milioni di potenziale procurement di equipaggiamenti navali, aerei e terrestri.

Un bel danno in tempi di crisi come quelli attuali.La FACO sara’ gestita da Alenia Aermacchi che vi impiegherà circa 600 persone, più circa altre 400 di fornitori esterni. Ovviamente non si tratta di mille nuovi posti di lavoro. Altre 700 persone saranno occupate da Alenia Aermacchi e da fornitori, a regime, nelle varie fasi di produzione del programma nel resto d’Italia. Anche in questo caso, ovviamente, non si tratta di tutti nuovi assunti. E qui veniamo ad un altro aspetto controverso del programma in quanto da alcuni anni l’AM, Segredifesa, Ministri e Sottosegretari vari hanno parlato di 10.000 posti di lavoro, cifra poi rimodulata a piacimento ma sempre di quell’ordine di idee. Ma qualcuno ha mai chiesto a questi signori – visto che marketing fanno – un piano industriale concreto relativo al programma? Perché il Parlamento nelle sue varie sessioni in cui ha trattato la vicenda, invece di discutere di pacifismo o capacità di trasporto di bombe atomiche, non chiede semplicemente il business plan? Tutti i numeri, a quel punto uscirebbero fuori. Uscirebbe fuori che l’impatto economico tanto pubblicizzato non esiste, che i 10, 12, 14 miliardi di ritorni e anche più tante volte annunciati sono solo un’idea, una proiezione sulla base di uno pure speculazioni non suffragate da contratti già siglati né a breve né a lungo termine. La realtà é che oggi l’industria italiana si è assicurata solo circa 500 milioni di euro di ritorni e che le aziende che lavorano al programma sono poco meno di una trentina (non sarebbe serio infatti, considerare come parte del programma anche le aziende edili, elettricisti, impiantisti etc. che hanno realizzato Cameri come parte del programma).

 

 

 

 

 

 

 

 

E qui veniamo alla questione dei costi di acquisizione dei JSF perch[ tutti sappiamo che le cifre circolate fino ad oggi, pur impressionanti, non sono vere. I famosi 12 miliardi di euro di costo del programma (cifra che nasce dall’assunto che ogni JSF costera’ 80 milioni di dollari in media, come ha detto Segredifesa al Parlamento recentemente) sono una cifra senza alcun fondamento in quanto nessuno può sapere oggi quanto costerà in media un JSF. Non lo sanno gli americani figuriamoci se lo sanno gli italiani. Oggi ogni JSF del LRIP 5, il lotto in costruzione e consegna attualmente, costa oltre 200 milioni l’uno. Quelli successivi potrebbero costare leggermente meno, se tutto va bene, ma a quanto pare, non tutto va bene per il programma e oltre ai problemi tecnici (che costeranno soldi in più per essere risolti) ci sono una serie di grane piuttosto serie che influiranno sul costo medio. La prima è un ulteriore ritardo al programma che gli USA stanno valutando per risparmiare sui costi di bilancio a breve termine, che influirà sul numero di aerei ordinati e dunque sui costi unitari, l’altro è la già menzionata riduzione degli ordini internazionali. Detto questo, ai famosi 12 miliardi di costi italiani (che ripetiamo, sono una cifra puramente indicativa), bisognerebbe comunque aggiungere i 2 miliardi di dollari già spesi per partecipare alla fase preliminare e di sviluppo (a cui comunque abbiamo aderito solo nominalmente in quanto non ci e’ stato consentito di partecipare effettivamente a definizione, progettazione e sviluppo) e i 900 milioni di dollari della FACO. Poi non si e’ mai parlato dei già citati costi di esercizio che vanno aggiunti al “conto”.

Lockheed Martin ha recentemente “minacciato” l’Italia che ulteriori tagli, dopo quello da 131 a 90, comprometterebbero il livello dei ritorni industriali ed economici garantiti dal programma all’industria italiana. Ma in realtà non c’é alcun impegno da parte di LM a garantire ritorni e tutte le cifre circolate sono pure speculazioni visto che non esiste e non esisterà mai alcun accordo che impegna la LM a dare lavoro all’industria italiana. Tutti i contratti, per lotti di lavoro piccoli o relativamente piccoli (quello firmato a maggio dalla Alenia Aermacchi valeva solo 141 milioni di dollari), devono essere negoziati e non c’è alcuna garanzia che siano assegnati e, elemento non da poco, che siano in grado di generare ritorni economici.

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