Obama decide di non decidere E dopo tre giorni si muove l’Ue
di Gian Micalessin da Il Giornale del 17/8/2013
Lintellighenzia liberal e democratica di Oslo gli aveva regalato un Nobel sulla fiducia proclamandolo salvatore del mondo. A cinque anni di distanza il sangue delle piazze egiziane è la cartina di tornasole delle devastanti politiche mediorientali del Nobel per la Pace Barack Obama. Politiche irrimediabilmente nefaste sia per le popolazioni mediorientali con cui Obama prometteva di riconciliarsi, sia per un’America risalita in testa alle classifiche dell’odio dal Cairo a Kabul, da Bagdad a Tunisi. Politiche capaci di vanificare persino il peso del miliardo e 300 milioni di dollari con cui la Casa Bianca s’illudeva di tenere al guinzaglio i generali egiziani. Politiche nella cui scia s’è infilata un’Unione Europea piegata al verbo obamiano e condannata quindi a un impotenza ancor maggiore. In questo clima il comunicato con cuiil presidente del Consiglio Enrico Letta e il presidente francese Francois Hollande denunciano il superamento di ogni limite e chiedono ai militari egiziani di far cessare violenza e repressione assume l’inconfondibile profumo dell’illusoria vacuità. Illudersi che i generali sordi ai richiami dell’America ascoltino l’Italia, la Francia, i moniti dell’Alto rappresentante Ue Catherine Ashton o quelli di una Angela Merkel pronta a «riesaminare le posizioni con l’Egitto» è una pia illusione. Un’illusione figlia degli errori susseguitisi da quando si abbandonò al proprio destino Hosni Mubarak. Quegli errori sono anche la summa dell’inettitudine obamiana. Mubarak era sicuramente un dittatore corrotto e autoritario, ma era anche un dittatore controllabile, consapevole che la sua intransigenza e la sua autonomia non poteva superare gli standard di accettabilità stabiliti da Washington e dai partner europei. Obama anziché garantirgli un’uscita di scena concordata preferì affidarsi, al Qatar e ai Fratelli Musulmani e consegnarlo ai generali pronti a pugnalarlo. Ora trenta mesi dopo, Obama risponde ai propri errori e ai massacri gridando di non volersi schierare. Ma il principale problema dell’Amministrazione democratica è proprio quello di essersi schierata fin troppo. E sempre dalla parte sbagliata. L’appoggio concesso ai Fratelli Musulmani nella convinzione che il Qatar, un paese dove non s’è mai vista un’elezione, li avrebbe spinti alla democrazia portò ai diktat di Morsi, al varo di una costituzione basata sulla sharia e al golpe militare del 3 giugno. A quegli errori Obama ha cercato di rimediare abbracciando il comandante dell’esercito generale Abdul Fatah al-Sisi. Peccato che il generale – per quanto educato in un college americano – sia cresciuto religiosamente all’ombra del salafismo e non sia l’ uomo dell’America, ma dell’Arabia Saudita e del Kuwait. Il carnefice del Cairo è oggi il complice fedele e disponibile delle nazioni sunnite decise ad arginare il tentativo di Qatar, Turchia e Fratellanza Musulmana di egemonizzare il medio Oriente. Lo svarione del Segretario di stato americano John Kerry, che tempo fa attribuì a Sisi il merito di aver «ripristinato la democrazia » è il manifesto della superficialità con cui l’amministrazione democratica ha affrontato la piaga egiziana. La conseguenza di tanta superficialità è l’impotenza. E l’Obama che risponde ai massacri minacciando di sospendere le esercitazioni militari congiunte con l’Egitto ben rappresenta la devastante irrilevanza della sua amministrazione. Un’irrilevanza resa ancor più frustrante dall’inutilità dell’arma segreta su cui Washington ha sempre contato per manovrare i generali , ovvero il miliardo e 300 milioni di dollari in aiuti militari garantito ai generali dagli Stati Uniti. Un malloppo svalutato e deprezzato rispetto al tesoro da 12 miliardi di dollari promessi da Arabia Saudita, Kuwait e Paesi del Golfo in cambio della disponibilità di Sisi a mettere all’angolo Turchia e Qatar e a far carne di porco dei Fratelli Musulmani. Per non parlare dei 500 milioni di fondi: briciole che l’Europa minaccia, a vuoto, di far saltare.
Foto: Cingolati M113 dell’esercito al Cairo (Lapresse)
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