ERDOGAN “ASSEDIA” INCIRLIK: AI FERRI CORTI USA E TURCHIA

Dopo aver arrestato oltre 3.000 militari e giudici golpisti e rimosso più di 2.700 magistrati, Recep Tayyp Erdogan punta il dito contro gli Stati Uniti, colpevoli di ospitare (da ben 17 anni) l’iman Fethullah Gulen, accusato dal presidente turco di essere ispiratore del fallito colpo di Stato ordito la notte scorsa da alcuni reparti militari.

Gulen, 75 anni, residente in Pensilvanya e fino a tre anni era molto vicino a Erdogan a cui non ha perdonato il coinvolgimento in alcuni scandali legati alla corruzione, ha negato ogni coinvolgimento ma Erdogan ne chiede l’estradizione mentre il segretario di Stato John Kerry pretende da Ankara prove circa le responsabilità dell’esule.

Stamattina il premier turco Binali Yildirim ha puntato il dito proprio contro gli Stati Uniti: “Non riesco a immaginare un Paese che possa sostenere e ospitare quest’uomo, questo leader di un’organizzazione terroristica, soprattutto dopo la scorsa notte. E’ un atto ostile nei nostri confronti”.

E in serata è stato direttamente Erdogan a chiederne a Washington l’estradizione.

In un discorso alla televisione, ha detto che un partner strategico come Washington dovrebbe accogliere la richiesta e ha ricordato che la Turchia non ha mai respinto richieste di estradizione di “terroristi” da parte degli Stati Uniti.

Il presidente turco non deve aver gradito la prudenza con cui Washington (e le cancellerie europee) hanno gestito il golpe evitando di condannare chiaramente il putsch dei militari fino a quando non è stato chiaro che il golpe era fallito.

In mattinata il comando statunitense aveva fatto sapere che nonostante le tensioni in Turchia dalla base di Incirlik continuavano le operazioni aeree contro lo Stato Islamico in Siria e Iraq.

 

Nel pomeriggio però l’attività alla base militare di Incirlik è stata sospesa. Il governo turco ha chiuso lo spazio aereo ai velivoli militari consentendo solo il rientro dei jet in missione.

I funzionari americani sono al lavoro con quelli turchi per una ripresa delle attività. Ha detto Peter Cook, portavoce del Pentagono.

La sospensione è stata motivata con la chiusura dello spazio aereo sull’area, decisa dalle autorità turche dopo il colpo di stato mancato ma in realtà l’intera base di Incirlik al momento è di fatto inutilizzabile e le autorità turche hanno tagliato persino l’energia elettrica come confermato dallo stesso consolato Usa di Adana, capoluogo della regione a 12 chilometri dalla base aerea.

Ankara ha disposto una sorta di stato d’assedio alla base statunitense, vietando tutti i movimenti in entrata e in uscita e anche se Washington cerca di non esasperare i toni. Fonti americane hanno precisato che si sta cercando di ottenere spiegazioni dal governo di Ankara ma l’Eucom, il Comando delle forze USA in Europa, ha posto in stato di massima allerta difensiva tutte le forze Usa di stanza in Turchia.

Lo hanno riferito in via riservata fonti del Pentagono, secondo cui il livello di allarme è stato innalzato al livello ‘Delta’, il più elevato tra quelli previsti, che coincide in genere con un attacco in corso o comunque ritenuto imminente.

 

Il provvedimento non riguarda però l’allarme terroristico ma il rischio di scontri con le forze turche, a conferma del livello di tensioni che si registrano tra due alleati storici e membri della NATO.

Vi sono 2.200 militari e civili dipendenti del Pentagono in Turchia, 1.500 dei quali in servizio presso la base aerea di Incirlik, nell’Anatolia meridionale.

L’ordine prevede l’adozione delle misure protettive estreme, con conseguente sospensione di tutte le attività non essenziali e il potenziamento delle postazioni difensive.

La tensione non riguarda solo le forze americane poiché a Incirlik sono presenti aerei e militari di altri Paesi della Coalizione contro lo Stato Islamico: Germania, Gran Bretagna e Arabia Saudita.

Anche se nessuno ne parla sarebbe il caso di ricordare che nell’area di Gaziantep, vicino al confine siriano, sono presenti 135 militari italiani del 4° reggimento artiglieria contraerea Peschiera con una batteria di missili Aster 30 del sistema SAMP/T nell’ambito dell’Operazione NATO Active Fence, per difendere lo spazio aereo turco da eventuali attacchi missilistici provenienti dal territorio siriano, cioè dalle armi russe o di Damasco poiché l’Isis non dispone certo di missili balistici o da crociera.

 

Perché di questo contingente nessuno sembra preoccuparsi? Eppure in queste ore si dedicano centinaia di ore di trasmissioni televisive e radiofoniche e tante pagine di giornale alla crisi turca.

Temuto conto di quello che sta accadendo in Turchia e dei possibili sviluppi della crisi interna in atto, non sarebbe il caso di riportare a casa i nostri 135 militari? Specie ora che la distinzione tra amici e nemici sembra farsi sempre più confusa per i turchi.

Foto: Gazzettino di Mantova, AP, Reuters e US DoD

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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