ASSAD RIPRENDE L’OFFENSIVA SU ALEPPO

Sembra portare a rilevanti sviluppi militari l’offensiva lanciata il 5 settembre dalle forze di Damasco nel settore di Aleppo, la città da anni contesa tra i lealisti e le diverse formazioni ribelli che ne controllano i quartieri orientali.
Un’offensiva resa possibile da almeno due fattori.

Il primo è rappresentato dal successo conseguito la scorsa settimana sul fronte meridionale dove le truppe di Assad, appoggiate da un intenso bombardamento aereo russo, hanno riconquistato l’Accademia Aeronautica, base la cui caduta il mese scorso nelle mani delle milizie qaediste di Jabhat Fateh al-Sham (ex Fronte al-Nusra) aveva permesso ai ribelli di creare un breccia di un paio di chilometri nell’accerchiamento delle truppe lealiste.

Il secondo è il massiccio afflusso di rinforzi, non solo truppe regolari siriane ma anche delle forze alleate.

Nei giorni scorsi sono giunte ulteriori conferme circa la presenza di un migliaio di volontari russi già impiegati sul fronte di ad Aleppo, oltre che di reparti terrestri di Mosca, soprattutto forze speciali e artiglieria che affiancano cacciabombardieri ed elicotteri schierati da quasi un anno nella base aerea di Latakya.

Rivelazioni raccolte la scorsa settimana dal Daily Mail provenienti dal National Council of Resistance of Iran (NCRI), movimento di opposizione al regime teocratico iraniano, riferiscono che l’impegno di Teheran al fianco di Damasco è molto più ampio di quanto finora emerso.

I combattenti iraniani e della “legione scita” non sarebbero poche migliaia ma ben 60/70 mila, guidati da un comando situato nei pressi dell’aeroporto di Damasco noto con il soprannome di “serra” che coordinerebbe l’impiego di 10 mila pasdaran, 6 mila soldati iraniani dei reparti d’élite e almeno altri 45 mila mercenari e volontari provenienti dalle comunità scite di molti Paesi: 20 mila iracheni, 15 mila afghani,7/10 mila hezbollah libanesi e 5/7 mila palestinesi e pakistani.

Nei mesi scorsi era circolata la notizia che ai miliziani afghani (dell’etnia scita Hazara) che combattono in Siria è stata promessa la cittadinanza iraniana.

Un impegno, quello di Teheran, che secondo le stesse fonti andrebbe rivisto al rialzo anche sul piano finanziario con almeno 100 miliardi di dollari spesi dal 2011 per sostenere il regime di Assad.

Il peso delle forze guidate dall’Iran e dello sforzo militare russo nel confitto è quindi molto rilevante se si considera che le forze di Assad dispongono di meno di 100 mila uomini recentemente riequipaggiati con nuove forniture russe: ciò significa che, contando anche i 5/8 mila russi presenti in Siria le quasi la metà dei combattenti che difendono Assad non sono siriani.

Una proporzione comunque inferiore a quella che si riscontra nelle forze ribelli, inclusa l’Isis, dove secondo fonti d’intelligence oltre i due terzi dei miliziani sono stranieri.

Sui campi di battaglia intorno ad Aleppo i ribelli dell’alleanza islamista Esercito della Conquista (che riunisce qaedisti, salafiti e fratelli musulmani) ha perso terreno anche nel distretto industriale meridionale di Aleppo, noto come al-Ramouseh, che ke forze di Assad appoggiate da truppe iraniane e milizie scite irachene hanno riconquistato completamente l’8 settembre.

I governatuvi hanno ripreso il controllo anche della centrale elettrica di al-Dabaghat,  puntano a conquistare il  quartiere di al-Amiriyah e hanno ucciso in un raid aereo nei pressi di Aleppo Abu Omar Sarakeb, leader di primo piano del gruppo jihadista Jabhat Fateh al-Sham.

In questo contesto di successi  militari dei lealisti e dei loro alleati non sorprende che russi e statunitensi non riescano a trovare un’intesa per un cessate il fuoco che al momento non conviene a Damasco.

Assad ha tutto l’interesse a stringere il cerchio sui ribelli per riprendere il controllo di Aleppo, conseguendo una vittoria simbolica e strategica sulle forze ribelli estranee allo Stato Islamico e appoggiate in questi anni da monarchie arabe del Golfo, Occidente e Turchia.

Proprio il mutato atteggiamento di Ankara sembra offrire il destro a Damasco per chiudere con un successo la lunga battaglia di Aleppo mentre le truppe turche e i ribelli moderati dell’Esercito Siriano Libero (a tutti gli effetti una pedina nelle mani di Ankara) attaccano lo Stato Islamico e i curdi nel nord della Siria poco a nord di Aleppo.

Una convergenza di interessi tra Ankara e Damasco era considerata impossibile prima del fallito golpe di luglio ma ora è qualcosa di più di un’ipotesi.

Le truppe siriane che combatterono al fianco dei curdi per difendere Hasaka dall’Isis ora prendono le distanze alle milizie di difesa popolare (YPG, le stesse che difesero Kobane dal Califfato) con le quali hanno sostenuto nei giorni scorsi molte scaramucce.

 

Al tempo stesso, dopo aver sostenuto per anni l’Isis e poi l’Esercito della Conquista, Erdogan sembra non voler interferire con le operazioni delle truppe di Assad ad Aleppo neppure ora che ha spazzato via l’Isis dal confine turco e punta per l’ennesima volta a farsi autorizzare dall’Onu (con il via libera di Usa e Russia) l’istituzione di una no-fly zone nel nord della Siria.

Un progetto che ha l’obiettivo ufficiale di tenere alla larga gli uomini del Califfato e riportare in territorio siriano molti profughi di guerra oggi in Turchia ma che punta soprattutto a impedire la nascita di un regione autonoma curda nel nord della Siria.

Obiettivo che potrebbe trovare il favore di Assad che con la prevedibile sconfitta dello Stato Islamico e la disfatta delle milizie ribelli jihadiste ad Aleppo vede in prospettiva la possibilità di riassumere il controllo dell’intero territorio nazionale limitandosi ad aprire al dialogo con le forze di opposizione moderate e non armate.

Foto: AP, AFP, Reuters, Getty Images, SANA, al-Jazira e Forze Armate Turche

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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