L’ISIS PRENDE DI MIRA GLI ITALIANI ALLA DIGA DI MOSUL
Le milizie dello Stato Islamico hanno tentato per la prima volta (per quanto ne sappiamo) di colpire i bersaglieri italiani schierati a difesa della Diga di Mosul e a protezione del cantiere della società Trevi che sta per cominciare i lavori di consolidamento della grande infrastruttura irachena.
Quattro o forse 6 razzi campali, probabilmente BM-21 da 122 millimetri, sono caduti a qualche centinaio di metri dalle postazioni e dal campo italiano.
La notizia dell’attacco non è stata resa nota dalla Difesa italiana ma da fonti curde da momento che i peshmerga controllano l’area e cooperano con i bersaglieri del 6° reggimento della brigata Aosta che in questi giorni stanno raggiungendo il pieno organico di 500 unità.
“Quattro razzi da 107 o 122 millimetri sono stati lanciati verso l’area della diga da una quindicina di chilometri” ha spiegato una fonte militare citata da Fausto Biloslavo su Il Giornale.
“Il più vicino è finito a 300 metri senza causare danni o feriti” ha sottolineato la fonte. Secondo fonti curde citate dall’Agenzia Nova il primo razzo ha centrato un campo di calcio, che si trova nella zona residenziale vicino alla diga.
Il secondo ha colpito il quartiere al Muhandisin, il terzo, quello più vicino, è caduto nei pressi della sede della compagnia Trevi mentre il quarto sarebbe invece finito in acqua.
A Roma lo Stato Maggiore Difesa si è limitato, il 7 ottobre, a precisare che “in relazione alle notizie apparse su alcuni media riguardo al lancio di alcuni razzi nella zona della diga di Mosul, l’evento è accaduto alcuni giorni fa e non ha interessato la base militare italiana.
I razzi hanno colpito una zona lontana dal perimetro dell’installazione militare italiana che è rimasta in completa sicurezza. Velivoli della coalizione internazionale sono intervenuti per neutralizzare la minaccia”.
I velivoli della Coalizione, probabilmente statunitensi, hanno quindi distrutto la postazione di lanciarazzi dell’Isis.
I velivoli alleati sono del resto concentrati in questi giorni nell’area di Mosul in raid tesi ad ammorbidire le difese dell’Isis in vista dell’offensiva per riconquistare la città da più parti considerata imminente.
Ovviamente il fatto che la base italiana non sia stata colpita non significa che non fosse proprio quello l’obiettivo dell’attacco dell’Isis.
Da quanto appreso da Analisi Difesa i cacciabombardieri alleati hanno l’ordine di distruggere ogni pezzo di artiglieria che l’Isis schieri a distanza utile a colpire la diga.
Il lanciarazzi campale BM 21 da 122 millimetri non è certo un’arma idonea ad attacchi di precisione ma il bombardamento ha un valore più spolitico-strategico che militare ed è forse per questoche, nonostante non abbia provocato né danni né vittime, non è stato reso noto tempestivamente da Roma.
Il lancio dei razzi, unito alle voci d’intelligence di un possibile attacco suicida su vasta scala contro la base italiana alla Diga di Mosul, conferma le preoccupazioni che Analisi Difesa ha più volte espresso fin dall’inizio della missione della Task Force Praesidium.
L’Isis non ha mai colpito la diga e non l’ha danneggiata neppure quando la controllava, nell’estate del 2014. A rendere improvvisamente appetibile un obiettivo finora ignorato dai jihadisti è proprio la presenza dei 500 bersaglieri e tecnici italiani.
Colpire gli “infedeli” e soprattutto i militari della Coalizione è un obiettivo prioritario per lo Stato Islamico (anche in termini propagandistici) e se si escludono piccoli team di forze speciali assegnate ai battaglioni iracheni e non molto visibili, l’unico bersaglio fisso, di grandi proporzioni e a due passi dalla prima linea offerto ai jihadisti è costituito proprio dalla base italiana alla Diga di Mosul.
Certo a provocare l’attacco dell’Isis potrebbe ver contribuito anche la dichiarazione del premier iracheno, Haider al Abadi, secondo il quale “la diga è totalmente sicura e Daesh non può attaccarla” ma schierare un battaglione di fanteria in una postazione fissa a tiro delle artiglierie nemiche e a ridosso della prima linea non ci è mai sembrata una buona idea.
Soprattutto tenendo conto che l’operazione affidata alla Task Force Praesidium non riveste alcun valore militare, comporta elevati costi finanziari ed espone i militari a rischi bellici del tutto privi di giustificazioni tattiche o strategiche.
Le truppe italiane non hanno compiti offensivi e non prenderanno parte all’offensiva su Mosul; inoltre la diga è già presidiata efficacemente dai curdi e il personale della Trevi potrebbe avvalersi di security contractors, come fanno tutte le società che hanno attività in Paesi a rischio.
Anche in termini finanziari l’operazione della Task Force Praesidium risulta poco convincente.
Il contratto assegnato a Trevi è di 300 milioni di dollari (invece dei 2 miliardi annunciati in dicembre da Matteo Renzi), più o meno quanto costerà alle casse italiane sostenere per due anni protezione militare della diga avvicendandovi quattro contingenti a livello battaglione/reggimento in turni semestrali.
Sicuramente i rischi per il contingente italiano si ridurranno quando Mosul verrà riconquistata o quanto meno quando le linee dello Stato Islamico verranno costrette ad arretrare, ma i tempi per questi sviluppi non sono certi.
Al-Abadi ha promesso una vittoria “vicina” contro i jihadisti a Mosul e molti osservatori valutano che l’offensiva potrebbe scattare già in ottobre nonostante le tensioni tra Baghdad e Ankara per la presenza di truppe turche a nord della città che controllano e addestrano milizie turcimanne e sunnite.
Il cui obiettivo sembra essere più quello di evitare che Mosul venga conquistata dalle milizie sciite filo-iraniane che di combattere lo Stato Islamico.
Le truppe del Califfo non sembrano del resto intimidite dalla grande concentrazione di forze nemiche intorno a Mosul.
Anzi, il 3 ottobre i jihadisti hanno contrattaccato vigorosamente nel settore di Qayyarah, a sud di Mosul, con l’obiettivo di riprendere l’omonima base aerea che sta diventando il fulcro dell’offensiva iracheno-alleata e dove verranno basati molti dei 600 rinforzi statunitensi inviati pochi giorni or sono in Iraq e probabilmente anche uno squadrone di elicotteri da attacco AH-64 Apache dell’US Army.
Il contrattacco è stato respinto e “gli uomini di Daesh sono fuggiti lasciando sul campo decine di corpi e veicoli carbonizzati” si legge in un comunicato dell’Esercito Iracheno in cui si aggiunge che i soldati della 95a brigata “hanno abbattuto un velivolo senza pilota costruito da Daesh vicino alla città di al Hadr”, l’antica città di Hatra, 80 chilometri a sud di Mosul.
Fonti curde riferiscono che il leader dello Stato islamico, Abu Bakr al Baghdadi, avrebbe ordinato ai suoi uomini di radere al suolo Mosul “nel caso in cui dovessero rendersi conto di non essere più in grado di difenderla” e che “i capi e i miliziani dello Stato islamico stanno fuggendo da Mosul verso la Siria”.
Le stesse fonti riferiscono che a Mosul vi sono anche molte violenze sui civili accusati di spionaggio o di non voler combattere al fianco dell’Isis che al momento disporrebbe in città di 7/10 mila combattenti (secondo stime della coalizione solo 5 mila) , “in maggioranza araba ma vi sarebbero oltre 145 combattenti stranieri: 5 dalla Danimarca, 5 dal Regno Unito, 115 curdi iracheni, 18 curdi iraniani e il resto sono i capi che sono ceceni e turcomanni provenienti dalla città irachena di Tel Afar” ha detto il portavoce curdo Saed Mamuzini.
La stesa fonte riporta che i miliziani dell’Isis “hanno scavato tunnel e riempito di esplosivo i posti principali della città, preparando anche i kamikaze ad entrare in azione”: notizie che non sembrano indicare la volontà di fuggire ma di combattere casa per casa.
Semmai, come è già accaduto a Tikrit, Fallujah e Ramadi, i jihadisti adotteranno la tattica di resistere ad oltranza per poi sganciarsi e cercare in piccoli gruppi di eludere l’accerchiamento nemico per continuare a combattere altrove.
Secondo Hiass Sourji, responsabile del partito dell’Unione Nazionale del Kurdistan (PUK) citato dal quotidiano panarabo al Quds al Arabi, l’Isis ha fatto arrivare a Mosul anche quantitativi di armi chimiche sottratte dagli arsenali dell’esercito siriano.
Foto AFP, Difesa.it, Reuters, AP, Esercito Iracheno, Twitter
Vignetta di Alberto Scafella
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.