I DOCUMENTI SEGRETI CHE ACCUSANO I SAUDITI PER L’11/9

di Fausto Biloslavo da Panorama dal 12 ottobre 2016

Gli aiuti logistici ed economici. Le telefonate e i collegamenti sospetti con militari e diplomatici. Proprio mentre il Parlamento degli Stati Uniti sconfessa Obama e approva la legge che permette ai parenti delle vittime americane di trascinare in tribunale ogni Paese coinvolto nell’attacco di 15 anni fa, escono dagli archivi le carte «top secret» del 2002 che elencano gli inquietanti contatti tra Riad e gli attentatori. Così i due Paesi ora rischiano un conflitto legale. E politico.

Diplomatici sauditi che aiutano terroristi, sospetti su ufficiali dell’intelligence e della Marina della monarchia del Golfo, numeri di telefono e bonifici di principi in vista di Riad sono le tracce che col- legano l’11 settembre 2001 all’Arabia Saudita, dopo 15 anni.

Nomi, dettagli, contatti con i dirottatori sono contenuti in 28 pagine di un voluminoso rapporto «top secret» del Congresso statunitense sull’attacco che all’America costò quasi tremila morti.

La Casa Bianca le ha appena rese pubbliche (solo alcune parti sono ancora coperte da «omissis») svelando un imbarazzante coinvolgimento dei sauditi, ancora tutto da indagare. E le rivelazioni s’intrecciano in un cocktail potenzialmente esplosivo con la nuova legge che permette ai parenti delle vittime di chiedere giustizia in tribunale contro l’Arabia Saudita o qualsiasi Stato estero coinvolto.

Il presidente, Barack Obama, aveva posto il veto, ma Congresso e Senato lo hanno respinto il 28 settembre, a schiacciante maggioranza.

Che 15 dei 19 dirottatori kamikaze dell’11 settembre fossero cittadini sauditi era noto, esattamente come lo era Osama bin Laden, lo sceicco del terrore che ordinò l’attacco e fu poi ucciso nel 2011 da un blitz dei corpi speciali Usa nel suo rifugio in Pakistan.

Ma le 28 pagine, che Panorama ha letto, vanno ben oltre: vi si legge che alcuni terroristi dell’11 settembre «erano in contatto e hanno ricevuto appoggio e assistenza da individui che possono essere collegati al governo saudita».
E che almeno un paio di loro sarebbero stati agenti dell’intelligence di Riad, secondo l’Fbi.

Il caso più imbarazzante riguarda Fahad al-Thumairy, nel 2001 diplomatico del consolato saudita di Los Angeles e allo stesso tempo imam della moschea Re Fahad di Culver city, in California: un luogo di culto noto per la linea estremista e frequentato dal personale del consolato saudita di Los Angeles.

Fra i fedeli, un anno prima dell’attacco agli Usa, c’erano anche Nawaq Alhamzi e Khalid al-Midhar, due dei futuri kamikaze, che l’11 settembre precipitarono con il volo American Airlines 77 sul Pentagono.

L’FBI ha scoperto che nel 2001 Al Thumairy aveva «immediatamente assegnato qualcuno per occuparsi» dei terroristi. Appena arrivati negli Stati Uniti, i due non conoscevano l’inglese e dovevano fare pratica di volo: per questo vennero ospitati in un appartamento affittato dalla moschea dell’imam sospetto.

Nel 2004 Al Thumairy è stato interrogato dagli investigatori americani a Riad, ma ha negato qualsiasi coinvolgimento.

Gli inquirenti sono convinti che abbia mentito. Alhamzi e al-Midhar, due dei dirottatori dell’11 settembre, sono stati aiutati anche da Omar al-Bayoumi, un personaggio ambiguo, dipendente della Ercan, una società californiana legata al ministero della Difesa di Riad, che si sospetta fosse incaricato di tenere d’occhio i dissidenti della monarchia sul suolo statunitense.

La Ercan aveva collegamenti con Bin Laden. Probabilmente è al-Bayoumi l’uomo incaricato dall’imam Al Thumairy di occuparsi degli aspiranti kamikaze.

Al-Bayoumi li ha ospitati a casa sua, a San Diego e poi affittato l’appartamento dove sono andati a vivere, pagando la caparra. Secondo l’Fbi «può essere un funzionario dell’intelligence saudita».

Un altro probabile agente operativo di Riad sospettato di avere aiutato i terroristi è Osama Bassnan, che secondo il rapporto parlava di Bin Laden «come fosse Dio».

Nel 2001 Bassnan e sua moglie, scrivono gli investigatori americani, «hanno ricevuto appoggio finanziario dall’ambasciatore saudita a Washington e dalla sua consorte».

Si tratta di 74 mila dollari versati nel 2001 in bonifici mensili alla signora Bassnan per un servizio di baby-sitter che in realtà non ha mai svolto.

Il diplomatico che staccava gli assegni era nientemeno che il principe Bandar bin Sultan, allora il saudita più potente negli Usa. Non basta.

Nell’agendina telefonica di Abu Zubaida, uno degli organizzatori dell’attacco dell’11 settembre (poi catturato in Pakistan), gli americani hanno trovato i numeri riservati della Aspcol corporation.

Questa società si occupava di «gestire» la residenza del principe saudita Bandar in Colorado. La residenza era protetta dalla Scimitar security, e anche i numeri riservati di questa società erano nell’agendina del terrorista.

Uno dei contatti di Abu Zubaida era «una guardia del corpo dell’ambasciata saudita a Washington» si legge nel rapporto top secret. Ma anche un numero imprecisato di ufficiali della Marina saudita di stanza a San Diego «era in contatto con alcuni dei dirottatori».

Nel marzo 2000 uno di questi ufficiali avrebbe chiamato nove volte al telefono Khalid al-Midhar, il terrorista che avrebbe fatto precipitare il volo 77 sul Pentagono.

Anche Mohammed Atta, capo conclamato dei 19 kamikaze dell’11 settembre, era in contatto con sauditi negli Usa, e tra di loro c’era Abdullah Bin Laden: il fratellastro di Osama, posto sotto inchiesta dall’FBI, che «lavorava all’ambasciata dell’Arabia Saudita a Washington». Insomma, di indizi del coinvolgimento saudita nell’11 settembre ce ne sono a sufficienza.

Ora il problema diventa politico. Dopo l’accordo sul nucleare con l’Iran, la Casa Bianca non aveva certo bisogno di avvelenare i rapporti con Riad, ma la legge a favore delle vittime dell’attacco scatenerà cause miliardarie.

La monarchia aveva già minacciato di vendere i suoi titoli del Tesoro Usa, più investimenti negli Stati Uniti per 750 miliardi di dollari. Come risposta, la magistratura americana potrebbe congelare i beni sauditi negli Stati Uniti, ma la Casa Bianca teme un effetto boomerang.

Se i cittadini americani trascineranno alla sbarra il governo saudita, lo stesso potrebbe fare non solo la monarchia del Golfo, ma qualsiasi Paese straniero nei confronti del personale diplomatico americano, dopo un attacco con droni o un’operazione clandestina antiterrorismo.

Foto: AP, Reuters, AFP e Getty Images

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