A MOSUL IL CALIFFATO HA ANCORA MOLTE CARTE DA GIOCARE
da Il Corriere del Ticino del 22 ottobre
La tattica delle milizie dello Stato Islamico non sorprende, il vigore bellico dei jihadisti invece sì. I primi giorni della battaglia di Mosul mostrano similitudini con alcune delle operazioni effettuate negli ultimi due anni contro l’Isis.
Come è accaduto a Tikrit, Ramadi e Fallujah, i miliziani hanno lasciato avvicinare gli avversari ai grandi centri urbani evitando di farsi coinvolgere in battaglie su vasta scala nei villaggi o in campo aperto dove la superiorità numerica e in potenza di fuoco degli alleati li avrebbe sopraffatti.
Curdi e iracheni sono avanzati rapidamente fino ai sobborghi di Mosul ostacolati da qualche reparto di retroguardia dell’Isis ma soprattutto da moltissime mine e trappole esplosive disseminate nei villaggi e sulle strade.
La rapida avanzata di curdi e truppe di Baghdad ha lasciato in alcuni casi i fianchi esposti a contrattacchi mentre le milizie del Califfato hanno dimostrato con l’attacco diversivo a Kirkuk di poter ancora infiltrare terroristi e miliziani dietro le linee nemiche per compiere azioni eclatanti.
litz come quello di Kirkuk, o come quello che secondo fonti d’intelligence sarebbero in preparazione alla Diga di Mosul presidiata da curdi e bersaglieri italiani, non alleggeriscono la pressione militare sulla roccaforte dell’Isis in Iraq ma consentono alla propaganda del Califfo di mostrare ancora vitalità e capacità offensiva.
Sul campo di battaglia la rapida avanzata di curdi e iracheni non deve trarre in inganno circa le capacità belliche dei jihadisti, il cui numero stimato a Mosul oscilla tra 3mila e 6mila, per lo più stranieri mentre iracheni e siriani sarebbero già fuggiti con le loro famiglie a Raqqah, capitale dell’Isis in Siria.
Una fuga che suscita qualche perplessità perché è avvenuta alla luce del sole e senza interferenze da parte dei cacciabombardieri della Coalizione ai quali sembra essere ancora una volta sfuggita una lunga e ben visibile colonna di mezzi dell’Isis.
L’antico adagio “al nemico che fugge, ponti d’oro” non dovrebbe applicarsi allo Stato Islamico perché i miliziani usciti da Mosul continueranno a combattere con determinazione in Siria.
Per questo la tranquilla fuga dei jihadisti lascia intendere che le Coalizione voglia cacciare il Califfato dall’Iraq ma non sia poi così dispiaciuta di vedere i miliziani di Abu Bakr al-Baghdadi continuare a combattere ferocemente le truppe siriane e i loro alleati iraniani, hezbollah e russi.
Del resto la Coalizione si costituì solo quando l’Isis occupò il nord dell’Iraq non certo finché combatteva il regime di Bashar Assad.
Quanto ai possibili sviluppi bellici nell’assedio di Mosul gli uomini dell’Isis hanno ancora molte carte da giocare prima di cercare di sfuggire a piccoli gruppi all’accerchiamento nemico mischiandosi ai civili come hanno fatto in mote altre città espugnate da iracheni e siriani.
Baghdad schiera 30 mila combattenti dei quali però solo la metà, le milizie sunnite e le forze regolari di Baghdad, entreranno a Mosul.
Il governo non vuole le milizie scite nel centro urbano nel timore che scatenino rappresaglie sui civili come quelle effettuate a Tikrit, Ramadi e Fallujah.
I curdi invece, forse gli avversari più temibili dell’Isis, non intendono farsi massacrare in un battaglia casa per casa per una città che non sarà mai parte del Kurdistan.
Proprio la debolezza dei battaglioni iracheni, la cui tenuta è sempre stata scarsa di fronte a gravi perdite, costituisce il miglior asso nella manica dell’Isis che ha avuto tutto il tempo di barricarsi a Mosul costruendo trappole esplosive, bunker e tunnel.
Il comando iracheno ha di fronte due opzioni: o conquistare la città casa per casa subendo ingenti perdite, o aprirsi la strada con intensi bombardamenti aerei e di artiglieria.
Le armi pesanti certo non mancano a Baghdad, che ha fatto spesa di jet, elicotteri da attacco e cannoni in USA, Russia e Iran e può contare sull’appoggio dei cacciabombardieri della Coalizione, elicotteri Apache americani e due unità d’artiglieria statunitense e francese, ma la seconda opzione mieterebbe moltissime vittime tra gli almeno 700 mila abitanti rimasti in città ai quali il governo iracheno ha raccomandato di restare chiusi in casa in attesa di essere liberati.
Foto: Askanews, AP, Reuters ed Esercito iracheno
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.