IN LIBIA GLI USA SI RITIRANO E ARRIVANO GLI EMIRATINI

Mentre al vertice di Londra i ministri degli Esteri di Gran Bretagna, Usa e Italia hanno trovato un accordo per consentire al governo di Fayez al-Sarraj di accedere a 9 miliardi di euro di riserve valutarie della Banca Centrale Libica, la nostra ex colonia sprofonda sempre di più nel caos.

I trafficanti di esseri umani continuano senza ostacoli a gestire i proficui flussi di immigrati clandestini verso l’Italia, grazie alla complicità interessata di alcune tribù della costa occidentale.

A Tripoli lo pseudo governo di al-Sarraj deve fare i conti con il ritorno di Khalifa Ghwell, l’ex premier di Tripoli tornato nella capitale grazie al sostegno di alcune milizie legate al movimento dei Fratelli Musulmani.

Contando l’esecutivo di Tobruk che controlla gran parte della Cirenaica, oggi la Libia ha così ben tre governi!

A Sirte, nonostante sei mesi di operazioni militari e la superiorità numerica delle forze di Misurata fedeli a Tripoli, i combattenti dello Stato Islamico continuano a resistere in un paio di quartieri della città divenuta ormai un simbolo della tenacia dei miliziani jihadisti.

Persino gli Stati Uniti, che da inizio agosto danno man forte alle milizie misuratine con aerei, droni ed elicotteri, sembrano essersi stancati dei loro alleati libici incapaci di chiudere il conto con lo Stato Islamico almeno nella città che diede i natali a Muammar Gheddafi.

Il Pentagono ha infatti sostituito dal 21 ottobre la portaelicotteri da assalto anfibio Wasp (nella foto a fianco), dotata di un ponte di volo di 257 metri e impiegata come “piccola portaerei” per le incursioni su Sirte dei cacciabombardieri AV-8B Harrier e degli elicotteri Super Cobra, con la più piccola nave d’assalto anfibio San Antonio (lunga 208 metri ma con un ponte di volo poppiero di 40), che può imbarcare solo elicotteri e piccoli droni da sorveglianza e ricognizione.

Il comando delle operazioni Usa in Africa (Africom) ha reso noto che San Antonio “continuerà la missione di sostegno alle forze alleate del governo di accordo nazionale che combattono per riprendere Sirte dalla stretta dello Stato islamico” precisando che “gli attacchi aerei hanno ridotto notevolmente la capacità di utilizzare armi pesanti e le posizioni di combattimento nemiche, oltre ad aver ridotto il numero di veicoli-bomba”.

Resta il fatto che dalla San Antonio potranno partire missioni d’attacco effettuate solo da elicotteri Super Cobra che si aggiungeranno alle circa 350 sortite d’attacco effettuate tra il 1° agosto e la fine di ottobre che includono anche i raid dei droni decollati da Sigonella (Sicilia) e Giordania.

Come sottolinea il sito specializzato “Warisboring.com”, dalla San Antonio possono decollare solo elicotteri e piccoli velivoli senza pilota RQ-21 Blackjack. Gli elicotteri d’attacco AH-1 Super Cobra montano un cannone da 20 millimetri e possono trasportare fino a otto missili Hellfire, più di 50 razzi di 70 millimetri, o un mix di entrambi.

Tuttavia, gli elicotteri hanno un’autonomia di volo massima di 365 miglia (590 chilometri circa) e non possono fare rifornimento in volo.

Nelle fotografie pubblicate da Africom, gli AH-1 Super Cobra montano solo due missili, probabilmente per ridurre il peso e consumare meno carburante. E’ altrettanto possibile che la San Antonio si sia avvicinata alla costa libica, giudicata più sicura rispetto a prima.

La nave statunitense trasporta anche diversi elicotteri leggeri UH-1Y Venom, armati di mitragliatrici e razzi.

La giornata in cui sono stati effettuati più raids contro le postazioni dello Stato Islamico a Sirte è stata il 14 ottobre, con 24 attacchi contro 63 postazioni nemiche, tra cui un centro di comando e di controllo jihadista.

Lo scorso 9 ottobre altri 21 attacchi avevano colpito 51 posizioni dello Stato islamico a conferma che le forze jihadiste non erano certo ridotte al lumicino come da tempo sottolinea il comando libico a Tripoli.

Il 2 ottobre gli Stati Uniti avevano compiuto 20 bombardamenti sulla città costiera libica colpendo ben 71 postazioni nemiche. Dal primo al 18 ottobre i velivoli Usa hanno compiuto ben 150 raid, oltre il doppio che in tutto settembre (72) e il 50% in più che in agosto (108).

La notizia più sconcertante circa gli sviluppi bellici in Libia l’ha rivelata l’istituto IHS Jane’s di Londra mostrando le immagini di una base militare degli Emirati Arabi Uniti istituita in Cirenaica, nei pressi di Marj dove si trova il quartier generale dell’Esercito nazionale Libico guidato dal generale Khalifa Haftar.

Jane’s ha pubblicato immagini satellitari risalenti al 26 luglio scorso. La base si trova all’aeroporto Al-Khadim, situato 70 chilometri a Sud della città di Marj e a circa 100 chilometri da Bengasi, dove le forze guidate da Haftar sono impegnate da mesi nell’offensiva contro gli islamisti.

Il sito ha sottolineato che all’inizio dell’anno lo scalo appariva privo di infrastrutture, ma “a partire dal 27 giugno” hanno cominciato a costruire hangar nei pressi di una nuova pista di parcheggio dei velivoli.

Le immagini satellitari mostrano velivoli antiguerriglia AT-802U (fioto a lato), droni armati Wing Loong (nella foto sotto) di costruzione cinese ed elicotteri Black Hawk, tutti delle forze aeree degli Emirati Arabi Uniti.

La notizia della base degli Emirati in Libia è apparsa sul sito di Jane’s Defence Weekly all’indomani della visita ad Abu Dhabi del generale Haftar, per colloqui con il ministro della Difesa Mohammad Al-Bawardi.

Secondo quanto riferito al Libya Herald da collaboratori di Haftar, la visita si sarebbe tenuta su richiesta degli Stati Uniti, decisi a convincere il generale a sostenere il governo di unità nazionale del premier Fayez al Sarraj.

La presenza delle forze degli Emirati Arabi Uniti (i cui jet Mirage 2000 sarebbero già entrati più volte in azione in appoggio alle forze di Haftar decollando da basi egiziane) si aggiunge al già consistente supporto militare offerto al governo di Tobruk dal Cairo.

Di fatto la presenza militare straniera in Libia si sta considerevolmente ampliando: Egiziani ed emiratini affiancano Haftar mentre forze speciali USA, italiane e britanniche sono presenti a Misurata dove l’Italia schiera anche i 300 militari dell’Operazione Ippocrate con un ospedale da campo che cura i feriti delle milizie di Misurata colpiti dallo Stato Islamico a Sirte.

Forze speciali statunitensi sono presenti anche al fianco degli uomini di Haftar, a Bengasi, dove fino a poco tempo or sono erano schierate anche unità francesi mentre Turchia e Qatar forniscono aiuti alle milizie islamiste di Tripoli. In Libia agli scontri interni corrisponde una crescente presenza di forze straniere che difficilmente potranno contribuire a stabilizzare il Paese, almeno nel breve periodo.

In questo contesto l’unica soluzione ragionevole per l’Italia (e la Ue) è rappresentata dall’impiego delle forze navali per “sigillare” le coste libiche impedendo ogni tipo di traffico illecito.

Bloccare i gommoni e riportare a terra i clandestini per far cessare i flussi di immigrati illegali e sottrarre il business ai trafficanti impedendo così anche le infiltrazioni in Europa di criminali e terroristi.

Finché la Libia sarà terra di tutti e di nessuno l’imperativo di Roma dovrebbe essere difendere gli interessi nazionali isolandola dalle coste italiane.

@GianandreaGaian

Fonte Nuova Bussola Quotidiana

Foto AP, AFP, Marina Militare, US DoD, Jane’s,  Military Edge e Air Force Technology

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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