BATTAGLIA A SHINDAND
Mezz’ora di battaglia per i soldati italiani in Afghanistan. Uno scontro a fuoco durissimo, durante il quale un gruppo di talebani ha fatto fuoco con armi leggere, mortai, lanciarazzi e i militari italiani hanno risposto, respingendo i nemici, anche con l’ausilio di cacciabombardieri della Nato e elicotteri d’attacco Mangusta. Uno scontro conclusosi senza feriti tra i militari italiani e con un numero imprecisato di perdite tra i talebani. L’attacco, di tipo “complesso” è stato un vero e proprio agguato scattato alle 15.30 locali (le 13 italiane) del 20 ottobre a 5 chilometri a sud della base operativa avanzata di Shindand, nell’ovest dell’Afghanistan. Una pattuglia italiana, impegnata in un’operazione di controllo e bonifica degli itinerari, è stata improvvisamente investita dal fuoco di armi di ogni tipo: leggere, mortai, Rpg (Rocket propelled granade). Lo scontro, che si è protratto per circa 30 minuti, ha visto impegnati i paracadutisti del 183/o reggimento Nembo di Pistoia (veterani dell’Afghanistan con alle spalle due turni semestrali di missione a Bala Murghab) , i bersaglieri del 7° reggimento di Altamura (Bari) e i genieri del 4/o reggimento guastatori di Palermo. A supporto dei militari sono intervenuti due caccia dell’Isaf e gli elicotteri d’attacco italiani A-129 Mangusta, della Task Force Fenice, che – a quanto si apprende – sono stati determinanti nel far desistere gli aggressori. Cessato il fuoco nemico, la pattuglia è rientrata nella base di Shindand, senza riportare feriti.
L’attacco fa seguito all’esplosione di un ordigno al passaggio di una pattuglia e al lancio di razzi contro la base “La Marmora” all’interno dell’area militare alleata di Shindand e sede della Transition support unit centre (TSU-C), l’unità da combattimento incentrata sul reggimento “Nembo”. Anche in quei due casi non ci sono stati feriti. Attacchi come quello del 20 ottobre, frequenti fino all’anno sorso nei distretti meridionali e orientali della provincia di Farah o a nord, nel settore di Bala Murghab, sembrano dimostrare che il progressivo ritiro italiano dal sud sta consentendo ai talebani di portare la minaccia militare sempre più a nord verso Herat nonostante le crescenti capacità delle forze afghane più volte enunciate dalla Nato. Qualche giorno fa il ministro della Difesa Mauro ha ricordato in Parlamento che, di pari passo con la transizione, è in corso il piano di ripiegamento del contingente italiano: si ridurrà dalle 2.900 unità in media dell’ultimo trimestre 2013 a 1.800 nell’ultimo trimestre 2014. Il prossimo passo del ritiro si registrerà a dicembre con la cessione agli afghani delle basi di Farah City e soprattutto Bala Boluk chev controlla l’accesso alla Highway 1, la strada che unisce Kandahar a Herat Un passaggio che lascerà un solo reggimento da combattimento italiano in Afghanistan e porterà probabilmente la “prima linea” proprio nell’area di Shindand.
“Dopo il 2014 – ha sottolineato Mauro – continueremo ad essere presenti in Afghanistan nella missione Resolute Support (hanno aderito 59 Paesi) con un numero di militari da decidere in Parlamento. La missione – ha aggiunto – non prevederà più il contrasto all’insorgenza e la lotta al terrorismo e narcotraffico, ma attività di sostegno e formazione”. L’attuazione della nuova missione Nato e italiana dipenderà però dall’intesa tra Washington e Kabul sul cosiddetto Accordo bilaterale sulla sicurezza.
Gli statunitensi vogliono poter continuare in autonomia la guerra ad al-Qaeda in territorio afghano e pakistano e pretendono la piena immunità giudiziaria per loro militari e quelli alleati, immunità già prevista on l’attuale missione ISAF. Il presidente afghano Hamid Karzai ha annunciato la convocazione della Loya Jirga (Gran Consiglio) per discutere i particolari dell’Accordo bilaterale sulla sicurezza con gli Stati Uniti che a Kabul tra il 19 e il 21 novembre e vedrà la presenza di circa 3.000 delegati da tutto il paese.
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