F-35 vs Typhoon: la parola all’ex Ad (italiano) di Eurofighter

L’industria aerospaziale e della difesa italiana non si è mai trovata così in contrasto con il suo cliente naturale, le quattro Forze Armate, come con il programma F-35. E la Forza Armata più coinvolta in questo programma, l’Aeronautica Militare Italiana, non ha mai avuto nei riguardi del suo fornitore istituzionale un atteggiamento così duro, al limite dello sprezzante. Il Joint Strike Fighter ha finito per accrescere la distanza fra le due parti rendendo ancor meno conciliabili le prerogative e le esigenze di entrambe. Sentito alla Camera dei Deputati nell’ambito dell’Indagine conoscitiva sui sistemi d’arma, l’Amministratore delegato Alessandro Pansa ha denunciato la sofferenza di Finmeccanica nei confronti del programma americano affermando che con esso il gruppo è stato ridotto al ruolo di semplice “esecutore intelligente” di scelte altrui, estranee alla logica industriale. Per converso ha sottolineato il valore strategico e la rilevanza economica della partecipazione dell’industria nazionale al programma europeo Eurofighter.
Nell’intervista a più voci rilasciataci nel maggio 2012 da ex-alti dirigenti di Alenia Aermacchi, era stato rimarcato come nella definizione dei loro requisiti le forze armate dei Paesi avanzati siano solite avvalersi quantomeno dialetticamente delle “solide competenze tecnico-industriali” della loro controparte, e come un tale dialogo sia invece mancato nel processo decisionale che ha portato alla scelta dello strike “invisibile” di Lockheed Martin.
Nonostante la “intelligenza” – citata da Pansa con sottile autoironia – con cui Finmeccanica si conforma a scelte che le sono state imposte e che – ovviamente anche per questo – non condivide, il Typhoon e il Lightning II sono insomma gli alfieri delle opposte ragioni dell’industria e segnatamente dell’Aeronautica Militare. Sulla prima pesa oltretutto l’oggettivo differenziale di dimensioni con l’industria statunitense, mentre dal canto suo la seconda, votandosi al “buy American”, si sente finalmente affrancata dall’obbligo di assecondare un fornitore nazionale considerato talora “tiranneggiante”. I piloti italiani del caccia europeo sono invitati a non divulgare le sue notevoli doti, quando i colleghi britannici, all’indomani della guerra in Libia, le hanno sbandierate pubblicamente. L’imbarazzo è evidente anche tra i vertici delle primarie società coinvolte nel programma JSF, ma anche per loro la consegna è quella del silenzio.
L’F-35 intanto, secondo il program manager Generale Christopher Bogdan, ha ingranato la quarta. Anche se lo stesso generale si dice preoccupato per le complessità e i conseguenti ritardi del software, in particolar modo della versione STOVL, e il Pentagono rileva come l’impegno di Lockheed Martin nella qualità produttiva del suo velivolo lasci a desiderare. L’F-35 si conferma a ogni passo un Giano bifronte, non sai mai chi te la racconta giusta.

Enzo Casolini

Analisi Difesa ha voluto incontrare un dirigente dell’industria nazionale che come altri ha lavorato sui due fronti, del cliente e del fornitore, misurandosi poi sia con il caccia americano che con quello europeo. Ex-ufficiale dell’Aeronautica, una volta congedatosi e impiegatosi nel settore civile il dottor Enzo Casolini ha ricoperto il ruolo di coordinatore della partecipazione delle aziende Finmeccanica al programma JSF, per poi passare con la carica di Amministratore delegato alla guida del consorzio Eurofighter, che ha lasciato a giugno con i normali avvicendamenti di vertice. Classe 1945, una laurea in Economia e Commercio, Casolini ha maturato una solida esperienza nel management e nelle relazioni internazionali in campo aerospaziale. “Non voglio dare l’impressione di difendere a tutti i costi o per partigianeria l’Eurofighter a scapito del caccia americano”, avverte prima dell’intervista, “cerco solo di mettere a confronto due storie completamente diverse, che ho vissuto in prima persona”.

 AD: Dottor Casolini, ci parli degli inizi della nostra adesione al programma JSF.

Casolini: Nella mia veste di coordinatore di Finmeccanica fra il 2007 e il 2008 ho gestito la fase preliminare dell’intesa industriale fra Lockheed Martin e le aziende del gruppo. Gli accordi erano molto promettenti in quanto prevedevano anche, in alcuni casi, la capacità di integrazione di sistemi nazionali come ad esempio il missile aria-aria Iris-T, e di conseguenza tutte le attività ingegneristiche derivate. Si citava addirittura la capacità di accesso al Software Code del velivolo.

Le premesse quindi erano buone.
Assolutamente buone. Però tutti gli accordi fatti con Lockheed, con il  supporto determinante del Segretariato Generale della Difesa nelle trattative con la controparte americana, si chiudevano, e ritengo si chiudano tuttora, con una formula che spiegava la necessità dell’approvazione, per ciò che concerneva il trasferimento del know how, delle Autorità governative USA. Cioè, tutto ciò che si stabiliva nei contratti doveva essere approvato dall’Amministrazione, la quale in omaggio alla legislazione nazionale, almeno fin quando io ho lavorato nel programma, non ha consentito l’esportazione delle tecnologie più sensibili del velivolo. Questo è stato e credo sia ancora il problema della nostra partecipazione al programma, l’ostacolo all’accesso al know-how dell’F-35.

Scarica l’intervista completa in formato PDF

Silvio Lora LamiaVedi tutti gli articoli

Nato a Mlano nel 1951, è giornalista professionista dal 1986. Dal 1973 al 1982 ha curato presso la Fabbri Editori la redazione di opere enciclopediche a carattere storico-militare (Storia dell'Aviazione, Storia della Marina, Stororia dei mezzi corazzati, La Seconda Guerra Mondiale di Enzo Biagi). Varie collaborazioni con riviste specializzate. Dal 1983 al 2010 ha lavorato al mensile Volare, che ha anche diretto per qualche tempo. Pubblicati "Monografie Aeree, Aermacchi MB.326" (Intergest) e con altri autori "Il respiro del cielo" (Aero Club d'Italia). Continua a occuparsi di Aviazione e Difesa.

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