Inutile dialogare con l’islam
Intervista a Edward Luttwak di Andrea Cuomo da “Il Giornale” del 14 settembre
Professor Edward Luttwak, l’attentato di Bengasi riapre il conflitto tra l’islam e gli Stati Uniti?
«Il conflitto non è tra il mondo islamico e gli Stati Uniti, ma tra il mondo islamico e l’intero mondo non islamico. A Mindanao attaccano i filippini cristiani, il Pakistan è in conflitto con l’India, ovunque c’è l’islam in contatto con il non-islam, l’incitamento alla violenza da parte dei predicatori ha il suo effetto. Per fortuna in pochi ricorrono alla violenza, ma tutti gli altri stanno a guardare, compresi eserciti e forze dell’ordine».
È molto carico l’economista statunitense di origine romena, 69 anni, conosciuto per le sue pubblicazioni sulla strategia militare e la geopolitica, che segue con grande attenzione le vicende italiane e parla benissimo la nostra lingua. Pessimista e provocatorio lo è sempre stato; che sia contrario al buonismo del dialogo con i sordi e alle missioni di pace in genere non è certo una novità. Eppure stavolta c’è qualcosa di più: a migliaia di chilometri di distanza da noi, la sua rabbia serena, se si può dire così, stavolta si percepisce anche attraverso il filo del telefono.
Forte e chiara. Per lui ogni sforzo di venire a patti con l’islamismo è sciocco e vano.
E inutilmente cercheremo raggi di luce nel corso dell’intervista.
Un quadro cupo, il suo…
«Ma non è mica un quadro cupo, è la realtà».
Dove potrà arrivare la reazione degli Stati Uniti?
«Guardi,c’è un macrotrend evidente, che è quello di lasciare gli islamici cuocere nel loro brodo. Gli Stati Uniti sono riluttanti a intervenire in Libia, in Siria, perché è chiara ormai l’inutilità di certe azioni. Basti pensare all’Irak, all’Afghanistan. Grandi spese, nessun risultato. Una perdita di soldi e di tempo. Me lo lasci dire, in alcuni casi si tratta di barbari che governano selvaggi. È tutto inutile. L’ambasciatore Chris Stevens rappresentava quell’entusiasmo per la questione mediorientale che ora, con la sua uccisione, sarà sempre meno convincente e avrà sempre meno riscontro nella realtà ».
Questo è il macrotrend, come lo chiama lei. Ma nell’immediato qualcosa l’Occidente può fare?
«Certo: possiamo liberarci del linguaggio falsificante. Ad esempio non c’è una nuova democrazia in Libia, perché se non c’è rispetto della persona non può esserci democrazia. E non credo che le cose potranno cambiare per un secolo o due. Per ora islam e democrazia sono due parole incompatibili ».
Ma ci sono esempi di islam democratico, pensi alla Turchia...
«Certo, ma lì c’è democrazia nella misura in cui ci sono regimi anti-islamici. Ma appena sale al potere un partito islamico, e con Erdogan ci siamo quasi, bye-bye alla democrazia turca».
L’attentato all’ambasciata Usa a Bengasi ha colpito l’Occidente senza varcare i confini libici. Possiamo attenderci di essere colpiti prossimamente anche all’interno dei nostri confini? Ci potrebbe essere un altro 11 settembre?
«Solo nei limiti delle possibilità degli islamisti, che per fortuna solo limitate. Del resto l’11 settembre è stato “fabbricato” in Occidente, basti pensare a Mohammed ’Atta, uno degli attentatori, un ingegnere egiziano che lavorava in Germania. Quando invece gli attentati sono progettati in questi Paesi non arrivano a questo livello di organizzazione. Gli islamici sono incapaci anche nella violenza».
Neanche l’Italia corre rischi a suo giudizio?
«L’Italia e tutta l’Europa non hanno nulla da temere, soprattutto se agiranno con moderazione ».
Ecco, qual è il ruolo in tutto questo dei Paesi che affacciano sul Mediterraneo e in particolare dell’Italia?
«Nessun ruolo. I Paesi del Mediterraneo hanno solo la sfortuna di essere più vicini geograficamente all’islam, dovranno turarsi il naso per non sentire la puzza di integralismo, di ideologia, di selvaggeria. Mentre noi negli Stati Uniti abbiamo il lusso di essere lontani da tutto ciò».
Beh, c’è sempre la diplomazia. Possibile non possa fare nulla?
«Certo, bisogna essere diplomatici, ma non cretini. Quando trattiamo con i Paesi islamici è giusto essere cauti e moderati. Ma quando parliamo tra di noi occientali è meglio non prenderci in giro, almeno nell’uso delle parole ».
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