Risiko nel Pacifico
Nei mari asiatici ormai è un braccio di ferro continuo tra la Cina e le altre potenze regionali impegnate a stringere alleanze sempre più strette per far fronte all’espansionismo navale di Pechino che minaccia di mettere le mani su tutti gli arcipelaghi contesi che si estendono dal Mar Cinese orientale al Mar Cinese Meridionale. Negli ultimi giorni la Cina non ha certo usato il fioretto per far comprendere quanto concrete siano le sue capacità di controllare le numerose isole rivendicate da tutti gli stati rivieraschi il cui valore è legato sia al quadro strategico militare sia a quello economico per le ricche risorse energetiche che pare si celino sotto il mare delle isole Spratly, Senkaku e Paracels. Il 27 gennaio navi della guardia costiera cinese sonio penetrate nelle acque contese col Giappone al largo delle isole Senkaku/Diaoyu con un gesto che ha il sapore della provocazione dopo che Pechino ha posto unilateralmente l’arcipelago sotto il controllo aereo nazionale.
Una provocazione che ha coinciso, non a caso, con la visita del premier nipponico Shinzo Abe a New Delhi, dove ha incontrato il primo ministro indiano Manmohan Singh discutendo di cooperazione economica e militare incluse, esercitazioni aeronavali comuni. Nelle dichiarazioni congiunte, come ha sottolineato l’agenzia Asianews, Singh ha posto l’accento sulla “partnership strategica” fra una nazione “forte” e un Paese “in rapida crescita e trasformazione”. Abe, pur non citando in modo diretto le isole contese, ha sottolineato come il tema della “sicurezza” nella regione Asia-Pacifico costituisca un elemento “sempre più presente e importante”. I due colossi sono uniti nella percezione della Cina come una minaccia militare comune e dispongono delle due flotte più poderose dell’Asia, dopo quella cinese. Pechino aveva lamentato nei giorni scorsi la decisione Giapponese di consentire, per la prima volta dopo il 1945, l’export di un suo prodotto militare: velivoli anfibi per il pattugliamento marittimo e il soccorso venduti proprio all’India. Tokyo ha ribadito che si tratta di aerei disarmati ma molti osservatori sospettano che l’India li armerà per operazioni antisommergibile. E’ evidente che i cinesi vedono con irritazione un asse militare indo-nipponico (allargato anche alla Corea del Sud) che godrebbe della “benedizione” di Washington che sta fornendo ai tre Paesi sofisticati e costosi sistemi d’arma ed elettronici. Del resto India e Giappone hanno in comune dispute territoriali con la Cina rispettivamente lungo il confine sull’Himalaya e nelle isole Senkaku.
Il 26 gennaio una piccola flotta di tre pattugliatori cinesi è andata a “mostrar bandiera” anche negli atolli James Shoal, rivendicati dalla Malaysia. L’agenzia ufficiale cinese Xinhua ha reso noto che gli ufficiali a bordo hanno giurato di difendere la zona in quanto territorio nazionale e il comandante ha invitato i marinai a “prepararsi alla battaglia” per trasformare la nazione in una “potenza marittima”. Un’ulteriore provocazione, in questo caso contro Kuala Lumpur che, come tutti i Paesi della zona, sta sviluppando un ampio programma di riarmo navale che include navi da guerra, sottomarini e missili. Nelle scorse settimane missioni navali simili erano state effettuate dai cinesi anche alle Spratly e alle Paracel per intimidire Vietnam, Brunei, Taiwan e Filippine. A completare l’ostentato espansionismo cinese sono inoltre intervenuti altri due elementi.
Giusto per alzare ancora un po’ la tensione fonti governative hanno fatto trapelare che una seconda portaerei è già stata messa in cantiere a Dalian, dove è stata completata la prima unità navale di questo tipo ottenuta sviluppando lo scafo di una ex portaerei sovietica rimasta incompiuta. Questa seconda grande unità navale dovrebbe venire completata nel 2016 ma altre due sarebbero di imminente costruzione. Il secondo elemento, non meno foriero di tensioni, è rappresentato dall’avvio, il 28 gennaio, di una missione di ricerca scientifica guidata e finanziata dalla Cina che andrà alla ricerca di petrolio e gas naturale nelle acque del mar Cinese meridionale. La missione salpata da Hong Kong è ufficialmente “internazionale” ma la copertura non regge non solo perché navi e fondi sono cinesi ma anche perché lo sono quasi la metà dei 31 geologi imbarcati.
I giapponesi sembrano però ben determinati a non farsi intimidire da Pechino come dimostra l’ampio programma di riarmo di cui si è occupata recentemente anche la NBQ ma anche, sul piano culturale, la decisione del ministero dell’Istruzione nipponico di effettuare una revisione dei libri di testo per le scuole secondarie per descrivere come “parte integrante del territorio giapponese”, i due arcipelaghi Senkaku e Takeshima reclamati da Cina, Taiwan e Corea del Sud. Anche gli Stati Uniti, pur mantenendosi “dietro le quinte” in ossequio alla dottrina obamiana del “leading from behind” sono corsi in appoggio agli alleati confermando il rafforzamento della flotta del Pacifico già annunciato nel 2012. Dodici caccia “invisibili” F-22 Raptor sono in arrivo nell’isola giapponese di Okinawa a tutela dello spazio aereo nipponico insieme ai nuovissimi pattugliatori marittimi Boeing P-8 mentre la portaerei Roosevelt lascerà la base di Norfolk (Virginia) per trasferirsi in pianta stabile in una base sulla costa ovest. Delle 10 grandi portaerei della US Navy 6 saranno così schierate nel Pacifico dove peraltro vengono già effettuate oltre il 60 per cento delle missioni dei 14 sottomarini nucleari lanciamissili balistici della classe Ohio che imbarcano l’arsenale atomico strategico subacqueo di Washington.
da: La Nuova Bussola Quotidiana
Foto: China Military Review e Xinhua
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.