Implicazioni balcaniche nella guerra siriana

Sembrava che il caso fosse stato chiuso già ad aprile dello scorso anno, quando il Presidente Croato Josipović aveva dichiarato con forza che il suo paese non vendeva armi ai ribelli siriani, bensì alla Giordania. Pochi giorni fa, invece, alcuni giornali croati come Novi List, Glas Istre e Glas Slavonije sono tornati all’attacco, ribadendo che nei primi sette mesi del 2013 il loro paese ha venduto materiale per oltre 200 milioni di Kune (poco più 26 milioni di Euro) alle forze anti-governative siriane. Secondo i quotidiani, infatti, l’export di armamento leggero è stato organizzato attraverso la Giordania e, a conferma di ciò, viene citato l’incredibile aumento delle vendite verso il paese mediorientale. Secondo Danko Radaljac, giornalista del Novi List, durante i primi vent’anni di indipendenza la Croazia ha fornito armi ad Amman per un valore complessivo di 1.035 dollari. Nel 2012, invece, la cifra è salita a 6,5 milioni di dollari, ossia 6.280 volte in più del totale del periodo 1992-2011.

Al momento non vi è stata nessuna nuova smentita ufficiale da parte del Governo o del Presidente della Repubblica, ma le pesanti affermazioni richiamano quanto emerso nella primavera di un anno fa, quando Zagabria venne accusata da alcuni giornalisti del New York Times di aver sottoscritto un accordo con l’Arabia Saudita per il rifornimento di armi agli islamisti presenti in Siria. In ogni caso, è interessante notare che la presenza di armi ex-jugoslave in mano agli jihadisti anti-Assad è stata confermata già l’anno scorso dallo Stockholm International Peace Reaserch Institute, dalla compagnia di intelligence Stratfor e, soprattutto, dalla rivista specializzata croata Obris. Quest’ultima, nello specifico, ha dimostrato che i ribelli sono entrati in possesso di svariati modelli balcanici, come il cannone senza rinculo M60A, il lanciarazzi anticarro M79 e il lanciagranate RBG-6 (guarda il video).

I paesi balcanici si trovano loro malgrado coinvolti anche in un altro export verso la Siria, quello dei “volontari” islamisti. L’argomento, già trattato da Analisi Difesa,  è tornato recentemente all’attenzione dopo che Deutsche Welle ha pubblicato un articolo in cui evidenziava il pericolo rappresentato dal ritorno a casa di questi combattenti. Intervistato a riguardo, il giornalista Esad Hećimović ha ribadito come sia molto probabile che questi integralisti, finita l’esperienza in Siria, inizino ad addestrare nuove reclute direttamente nell’ex-jugoslavia per prendere di mira politici o giornalisti scomodi come, ad esempio, il ministro degli interni bosniaco Radončić. L’esperto ha anche sottolineato che la Comunità Islamica in Bosnia ed Herzegovina (autodefinitasi “la sola e unica comunità dei Musulmani di Bosnia ed Herzegovina”) non ha saputo trovare i metodi giusti per comunicare con questi estremisti, che hanno finito per  contrapporsi con decisione ad essa.

Come ha ricordato l’analista strategico Igor Tabak, del think-tank Obris, la situazione potenzialmente più esplosiva è quella bosniaca, a causa della maggiore concentrazione di jihadisti legati ad Al-Qaeda o all’Iran arrivati durante la guerra del 1992-1995 (si parla di almeno 2000 unità), ma anche di semplici fedeli radicalizzatisi durante gli anni successivi. L’aumento di individui re-islamizzati, secondo l’esperto, è confermato dal fatto che molti bosniaci ormai “osservano festività che non avrebbero mai celebrato in passato” e che sempre più donne indossano l’hijab per strada. Per Tabak (ma non solo) tutto ciò è avvenuto poiché, finita la guerra, i combattenti stranieri fermatisi in Bosnia hanno ottenuto il passaporto della neonata repubblica e, grazie ai fondi sauditi, hanno potuto costruire nuove moschee attraverso le quali sostituire l’Islam “locale” con una visione estrema del Wahhabismo. Considerato che la Federazione Croato-Musulmana è attualmente scossa da fortissime proteste popolari e che il tasso di disoccupazione ha raggiunto livelli record (quella giovanile supera il 57%), c’è il concreto rischio che queste frange estremiste, disponendo di liquidità e di una buona organizzazione, possano influenzare una parte sempre maggiore della popolazione locale.

Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.

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